INDICE
Le Leghe di Sergio Dalmasso da C.I.P.E.C – Quaderno n. 17 – Appunti sui partiti politici in provincia di Cuneo (1976 – 1992).
Relazione di Fabio Dalmasso
Premessa
Breve storia della Lega Nord in provincia di Cuneo
La gente della Lega Nord
Il voto ex – D.C.
Il ruolo della Chiesa
La propaganda della Lega Nord
Il Sindacato Padano (Sin. Pa.): il caso Michelin
Elementi di estrema destra nella Lega Nord
Interviste
Claudio Dutto
Stefano Isaia
Alessandro Torrero
Domenico Comino
Alberto Sciandra
Riccardo Vaschetti
Stefano Mina
Mino Allemandi
Carlo Benigni
Aldo Rabbia
Antonio Degiacomi
Antonio Fina e Franco Angeloni
Quaderni C.I.P.E.C.
Attività
INTRODUZIONE
Questo quaderno affronta un tema politico (e non solo) centrale per il nostro paese ed in specifico per la provincia di Cuneo: quello dato dalla nascita negli anni ’80, dalla crescita esponenziale nella prima metà del decennio successivo e dal permanere,- pur tra alti e bassi, periodi di presenza nei governi e altri di opposizione, scissioni e polemiche,- del fenomeno leghista.
A questo, in modo un po’ inconsueto (è strano e raro che un partito politico organizzi dibattiti sulla storia, le caratteristiche e le tendenze di altri), Rifondazione comunista ha dedicato attenzione già da lungo tempo:
- un dibattito con lo studioso Vittorio Moioli dal titolo Conoscere l’avversario, la Lega Nord (primavera 1994)
- la presentazione del libro dello stesso Moioli Sinistra e Lega, processo a un flirt impossibile (primavera 1996)
- un convegno a Fossano di una giornata (estate 1996) dal titolo: Nord Ovest: quale economia, quale autonomia? da cui è tratta la mia introduzione Lega. Cenni per una storia pubblicata sul n. 14 dei nostri quaderni e ripubblicata in questo.
Sempre, al di là di giudizi politici, ovviamente critici in un partito di parte opposta, il tentativo di comprendere un fenomeno nato quasi dal nulla, la sua capacità di espandersi pur non avendo in mano i media né inizialmente una organizzazione partitica, la crescita elettorale che non ha pari nella storia italiana (velocissima e concentrata in pochissimi anni), la coincidenza di alcune parole d’ordine, per quanto semplificate, con il sentire comune.
Sempre alla Lega sono state dedicate numerose osservazioni nel quaderno n. 23, interamente centrato sui dati elettorali della provincia di Cuneo dal 1946 (Assemblea costituente) al 2001 (elezioni politiche con l’affermazione delle destre). Particolari, ovviamente le osservazioni per le due elezioni politiche (1994 e 1996) in cui è, in provincia, il primo partito.
La ricerca tentata ora, di cui questo quaderno è parte, tenta di offrire uno spaccato oggettivo e basato su dati scientifici
sugli elementi soggettivi (vissuti, esperienze, lettura della politica) che hanno spinto tanta parte della popolazione a identificarsi, per periodi più o meno lunghi, nella Lega.
Sui mutamenti strutturali della composizione di classe (apparati produttivi, occupazione, organizzazione aziendale, mobilità, redditi, rapporto tra lavoro manuale e intellettuale…
Da questa analisi occorre tornare a chiedersi come sia mutata la coscienza di classe dei ceti subalterni nel contesto storico, sociale e produttivo di una delle aree economiche più ricche e dinamiche dell’Europa.
Scrive Ilvio Diamanti:
Conviene al centrosinistra volgere lo sguardo a Nord. Seriamente. Perché nell’Italia repubblicana i governi si sono fondati sempre su maggioranze con solide basi elettorali al Nord. E soprattutto nel Nordest…Berlusconi nel 2001 ha ristabilito l’intesa (tra Polo e Lega). E ha vinto. Nel Nord e in Italia. Se non riesce a parlare al Nord con parole proprie, se non riesce a vincere nel Nord, allora il centrosinistra non può pretendere- e neppure di sperare- di governare il Paese. (“La Repubblica”, 19 settembre 2004).
La breve ricerca svolta ha tentato di indagare il tema intervistando “testimoni privilegiati”, esponenti di partiti (della Lega certamente, ma non solo), osservatori della politica e dell’economia, sindacalisti.
Alcuni testimoni hanno offerto un’interpretazione, più o meno complessiva, dei processi che hanno concorso alla crescita della Lega, altri hanno raccontato semplicemente la propria esperienza; mentre alcuni testimoni hanno offerto un’esperienza molto locale, altri hanno dato letture più ampie (provinciale, regionale, nazionale).
Ne emerge un quadro sul quale non offriamo interpretazione alcuna, lasciando ogni valutazione a chi legge, chiedendo, però, che questa analisi cuneese venga inquadrata:
nella valutazione delle trasformazioni territoriali che fa parlare di “megalopoli padana” (25 milioni di abitanti), di “noncittà” Una sterminata periferia senza forma e senza sentimento frutto delle scelte urbanistiche e della totale “deregolamentazione” di scelte collettive.
Nell’organizzazione aziendale modificata dalla delocalizzazione, dal calo di occupazione, dalla crisi di intere filiere produttive.
Nel modello produttivo centrato sulla piccola e media industria. La Lega trova i massimi consensi in quel capitalismo molecolare, così definito da Aldo Bonomi, basato su artigiani, su famiglie plurireddito con attività diversificate.
Nell’idea di società che da sempre la Lega rappresenta, intuendo meglio di altri gli umori dei nuovi ceti sociali e proponendosi come tramite verso Roma di speranze, aspirazioni, proteste di un popolo che lavora. Le difficoltà, la crescita della migrazione non fanno che dare più forza a queste posizioni, aumentando la paura verso l’altro e nei confronti dell’incerto e dell’ignoto. Secondo Diamanti,la Lega accentuerà la caratteristica di Partito degli uomini spaventati.
Non è compito di questa sintetica introduzione quello di offrire letture, ma semplicemente quello di segnalare alcuni percorsi:
la nascita della Lega e le motivazioni che portano i singoli militanti a riconoscersi in essa.
La leadership di Bossi, i difficili rapporti interni e le difficoltà di chiunque la abbia lasciata tentando di costruire alternative (maggiore caso quello dell’APE).
Il rapporto fra continuità (dirigenti come Claudio Dutto) e i giovani entrati dopo la scissione e tesi a ricostruire le strutture entrate in crisi (l’attuale segretario Isaia).
Il rapporto con il tradizionale elettorato democristiano e le cause che producono la crisi di questo (Carlo Benigni).
L’esplosione del SINPA, il sindacato padano e la sua parabola.
Le tendenze culturali dell’estrema destra e la non semplice coniugazione di tradizionalismo cattolico e di forme di neo paganesimo (il Po…)
Questioni amministrative (l’ex sindaco di Mondovì, Vaschetti).
Sono strumenti che offriamo a chi voglia indagare un fenomeno specifico nell’ambito di una realtà europea in cui il rapporto tra globalizzazione e piccole patrie, mercati internazionali e sentimenti comunitaristici, crisi del modello socialdemocratico, ma difficoltà profonde anche di ogni politica liberista, aumento dell’impatto della migrazione (non solamente da sud, ma anche da est) e ricerca conseguente di identità e radici, messa in discussione delle politiche fiscali governative sembrano divenire costanti politiche non di uno, ma di tutti i paesi.
Speriamo che questo nostro lavoro possa essere utile e come strumento di lettura e di (parziale) comprensione della realtà cuneese e come parte di una indagine più ampia e più complessa che esamini varie realtà del nord.
Anche di questa tenteremo di informare sui nostri prossimi quaderni.
Sergio Dalmasso.
Da C.I.P.E.C.- Centro di iniziativa politica e culturale – Quaderno n. 17 – Appunti sui partiti politici in provincia di Cuneo (1976 – 1992).
LE LEGHE
di Sergio Dalmasso
Molto modesti i risultati elettorali delle forze piemontesiste (leader regionale Roberto Gremmo) nelle prime tornate elettorali. 0,80% alla regionali del 1980, 0,58% alle politiche del 1983, 0,39% alle europee del 1984 (solo 0.75% alla lista sardista, Union Valdotaine). Pochi i candidati locali; le liste paiono esterne alla realtà della provincia e il discorso piemontesista (autonomia regionale, forte polemica contro i partiti e antimeridionale, rivendicazione dell’uso della “lingua” piemontese…) pare non sfondare.
Qualche lieve progresso alle regionali del 1985 (6.000 voti, 1,66%).
Prima esplosione, anche se passa quasi inosservata, alle politiche del 1987: se la Liga Veneta non va più in là dello 0,73%, Piemont (Gremmo) raccoglie l’1,85% (7.000 voti), mentre Piemonte autonomista capitanato da Gipo Farassino ottiene il primo dato significativo (circa 13.000 voti, 3,41%), superando in provincia partiti storici (PSDI, MSI) e gli stessi radicali e verdi.
Calo, invece, alle successive europee. Pesano la mancanza di struttura locale e forse il nuovo simbolo elettorale “lombardo”. Solo 2,27% alla Lega Lombarda.
Se Piemont continua a non avere una struttura locale, la futura Lega Nord inizia a strutturarsi alla fine del 1989.
Il primo nucleo è costituito da Alberto Sciandra, studente universitario, Domenico Comino, insegnate, Stefano Mina, commerciante, e pochi altri. Pesa l’esperienza politica di Ansaldi, militante socialista negli anni ’50 – ’60, tornato alla politica dopo una lunga “vacanza”. Alla prima riunione organizzativa, presente Gipo Farassino, parteciparono cinque persone. Si apre una sede a Cuneo.
Un secondo nucleo si crea immediatamente a Saluzzo.
Nel dibattito iniziale e nei primi incontri pubblici, stenta a farsi strada la politica federalista (alla Bossi), mentre permane un forte automatismo (alla Gremmo).
La presenza alle amministrative deriva dalla volontà di entrare nei comuni e di mordere sui problemi locali, nonostante la pochezza organizzativa.
Tutti gli incontri pubblici sono finalizzati a creare nuclei nelle città e nei paesi. Il successo alle regionali è netto e, per molti aspetti, inatteso (6,19%) contro il 2,42% della Union Autonomia Piemont. Farassino è eletto consigliere regionale nel cuneese. Nel 1992 gli subentrerà Antonio Bodrero (Barba Toni), tra i fondatori del movimento occitano, poeta nella “lingua” piemontese. Alle provinciali due eletti: Lorenzo Borio (collegio di Cortemilia) e Claudio Lingua (Dronero), già monarchico e missino. Un seggio ad Alberto Seghesio, della provincia di Torino, per Piemont.
La Lega entra anche in alcuni consigli comunali: se “buca” a Bra e a Mondovì, ottiene un seggio ad Alba, due a Cuneo e a Saluzzo.
La crescita organizzativa successiva è molto forte. La progressione elettorale non eguali in tutta la storia nazionale e locale, tipica di un movimento emergente.
Il 5 aprile 1992 scacco della lista federalista (0,75%) nonostante la presenza di Franco Ripa, ex segretario di federazione PSI ed assessore regionale; 3,78%, nonostante la non presenza locale, alla Lega Alpina – Piemonte; 20,39% (80.000 voti) alla Lega Nord. Il candidato locale, Domenico Comino, supera il capolista Farassino alla Camera; al Senato, Farassino, eletto a Cuneo, opta per la Camera (circoscrizione di Torino). Eletti Massimo Scaglione (Alba) e Luciano Lorenzi (Mondovì).
La Lega ha sfondato sull’elettorato democristiano, rompendo il tradizionale monopolio DC sulle campagne e raccogliendo consenso in vari settori della popolazione: commercianti, contadini, ceto medio, tradizionali elettori DC, ma anche della sinistra (è consistente il peso elettorale nelle fabbriche, anche se il sindacato leghista, al momento, ha poche adesioni).
Tutte le iniziative hanno successo (per tutte il comizio finale di Farassino il 3 aprile 1992 e i due comizi di Bossi nel 1990 e 1993). Nascono nuove sedi che coprono, a fine 1993, quasi tutto il territorio provinciale, con 27 sezioni, 4 zone (che saranno tra poco divise in cinque).
La struttura è piuttosto esile (una funzionaria a metà tempo), ma forte è l’impegno volontario, anche questa caratteristica di un movimento emergente: 2.700 iscritti, 300 militanti (la divisione sembra ripercorrere quella esistente nei gruppi di sinistra nei primi anni ’70), autofinanziamento, partecipazione costante agli incontri interni ed esterni.
Dopo il successo elettorale costante e marcata è anche la presenza sulla stampa e sugli organi di informazione locali.
Le campagne su cui la Lega ha maggiormente insistito nella sua breve storia sono state quelle generali per il federalismo, contro lo stato accentratore, per un maggior liberismo, contro il fisco (ISI – ICI), con una forte connotazione antipartitocratica, anti-meridionale, capace di dare voce ad un sentimento diffuso, ma mai espresso e spesso coperto dalla retorica delle istituzioni. Non manca l’avversione verso gli immigrati, per quanto il fenomeno sia inizialmente poco diffuso nella provincia.
Le campagne locali: la grande viabilità (per l’autostrada Cuneo – Asti), la difesa della piccola e media industria contro la deindustrializzazione, l’agricoltura per la difesa della proprietà con intenti liberisti contro l’assistenzialismo passato per i canali della Coltivatori Diretti, alcuni temi ambientali, la richiesta di chiusura dell’ACNA (con difficoltà dato l’atteggiamento contrario del consigliere regionale ligure) soprattutto dopo la discesa in campo di Alba e dei produttori vinicoli contro i l progetto di inceneritore.
Costanti le polemiche, soprattutto anti DC, per la mancata trasparenza delle amministrazioni comunali, contro l’inefficienza, per la mancata partecipazione dei cittadini.
Netta la convinzione di poter divenire la prima forza politica nella provincia (e non solo).
Interclassista, al momento, la struttura di partito: l’organismo dirigente provinciale comprende due avvocati, due commercianti, un bancario, due impiegati pubblici, un artigiano, un piccolo imprenditore, due studenti.
Lo stato di grazia del movimento è dato anche dalla capacità di reggere alle defezioni: non hanno peso le uscite per diversi motivi, del consigliere comunale di Alba e dei due consiglieri provinciali, né hanno seguito, in loco, le piccole scissioni regionali.
Il presente scritto rappresenta il lavoro di sintesi effettuato sulla base di 14 interviste effettuate tra il novembre 2005 e il marzo 2006. A tutti gli intervistati è stata consegnata la trascrizione della loro intervista, così che potessero leggerla ed eventualmente correggerla. Tranne due intervistati, tutti gli altri hanno rilasciato la liberatoria che ci autorizza alla pubblicazione degli scritti.
La presente relazione è un tentativo di ripercorrere, in maniera estremamente sintetica, la storia della Lega Nord della provincia di Cuneo attraverso le parole dei protagonisti, attuali o passati, e quelle degli esterni, persone, cioè, non appartenenti al partito, ma in grado di darne una valutazione storico – politica – sociale. Non è intenzione dello scrivente esprimere alcun giudizio di carattere politico sul partito della Lega Nord.
Come si vedrà in seguito, la provincia di Cuneo è stata una zona molto importante per la Lega Nord, paragonabile, per risultati elettorali, a quelle che videro nascere la Lega Lombarda e svilupparsi l’idea autonomista all’inizio degli anni ’80.
Un episodio importante della storia leghista locale è sicuramente l’espulsione di Domenico Comino, ministro e personaggio di spicco all’interno della Lega Nord; il suo tentativo di candidarsi a segretario federale sfociò in un burrascoso congresso (Varese 1999) e una vera e propria crisi per il partito cuneese, vistosi privato dei suoi esponenti più rappresentativi.
Proprio l’episodio di Comino è utile per osservare i diversi giudizi che i leghisti attuali e gli ex danno nei confronti del leader, Umberto Bossi: mentre per alcuni è l’unico in grado di svolgere il ruolo di segretario federale, grazie anche alle sue notevoli capacità politiche (per alcuni è un Nostradamus della politica, perché quello che lui aveva previsto anni fa, si è poi verificato), per altri è una falciatrice che toglie di mezzo chiunque cerchi di oscurarne la popolarità o, peggio, attenti al suo posto di potere. Ovviamente i giudizi più negativi, come quello sulla mancanza di democrazia interna, provengono da chi è stato espulso o ha lasciato la Lega Nord e mai dagli attuali attivisti o dirigenti.
Una cosa però è certa: all’interno della Lega Nord le espulsioni non sono episodi marginali. Nell’agosto 2006 l’ex deputato Guido Rossi, di Saluzzo, è stato estromesso dal partito dopo una polemica sulla sua posizione nella lista elettorale leghista dell’aprile 2006. La sezione Monviso, quella di riferimento di Rossi, è stata azzerata. Assieme a Rossi è stato espulso anche Francesco Maria Macchioni, candidato alle ultime elezioni regionali e provinciali, mentre tutta la militanza è stata sospesa. In questo caso è stato il direttivo locale a prendere il provvedimento, ma l’episodio ricorda molto da vicino le vicende che videro protagonista Domenico Comino.
Fabio Dalmasso
PREMESSA
Per capire come è nato e si è sviluppato il fenomeno della Lega Nord nella provincia di Cuneo è necessario tracciare, brevemente, il contesto storico – politico entro il quale esso venne ad inserirsi, cercando di delineare i tratti politici, economici e sociali dai quali la Lega Nord trasse la propria forza.
Le radici della cultura prettamente cattolica – moderata della provincia di Cuneo sono rintracciabili sin dall’inizio del 1900 quando fiorì, soprattutto nel capoluogo, un vivace associazionismo cattolico dal quale mosse i primi passi il Partito Popolare Italiano. In generale la vita politica del cuneese è legata alla figura di Giovanni Giolitti (nato a Mondovì, provincia di Cuneo) che ha nella provincia il suo bacino elettorale. La fedeltà monarchica, dovuta anche alla vasta presenza di residenze e dimore sabaude, si unisce a una generica tendenza elettorale liberale. L’adesione al fascismo fu piuttosto tiepida: il potere venne mantenuto da un blocco clerico – conservatore, fascista più di nome che di fatto. Durante tutto il ventennio l’associazionismo cattolico mantenne viva la sua vocazione di formazione civica verso i propri aderenti e organizzazioni come l’Azione Cattolica (e le diverse sue sotto associazioni) cercarono di preparare i propri aderenti al dopo fascismo. La caduta del fascismo prima e l’armistizio poi diedero vita nel cuneese al vasto movimento partigiano che portò alla liberazione dell’Italia il 25 aprile 1945 (Cuneo venne liberata il 28 aprile): furono molte le formazioni che operarono nella provincia di Cuneo differenziandosi tra loro per l’impostazione ideologica data alla Resistenza1. In tutto questo fiorire di formazioni, i cattolici partecipano all’interno delle diverse brigate, fornendo il loro apporto alla lotta, senza però avere una propria formazione autonoma. All’appuntamento del 2 giugno 1946 la provincia di Cuneo rispose con il 56,2% in favore della Monarchia, mentre in Cuneo città vinse la scelta repubblicana; la Democrazia Cristiana si affermò come il partito principale della provincia di Cuneo ed ebbe inizio una lunga egemonia che portò lo Scudo Crociato a ricoprire il ruolo di partito egemone sino alla fine della Prima Repubblica.
Nell’economia della provincia di Cuneo un ruolo molto importante è stato ricoperto dall’agricoltura: la presenza di industrie è ridotta a poche realtà (Savigliano, Verzuolo, Mondovì) e stabilimenti di una certa importanza, come la Michelin e Miroglio, arriveranno sul territorio solo durante gli anni sessanta2. Questo contesto economico ha generato un certo ritardo nella componente sindacale che, ad esempio nel caso della Michelin di Cuneo, deve tutelare una forza lavoro che non è fatta di operai “puri”, ma di persone che, soprattutto inizialmente, svolgono una sorta di doppio lavoro, affiancando l’occupazione agricola con quella all’interno della fabbrica. In questo un ruolo importante viene svolto dalla Chiesa locale che, nelle sue diramazioni periferiche, diventa un vero e proprio centro di collocamento per contadini – operai.
Durante i circa 50 anni di Prima Repubblica la Democrazia Cristiana ottenne mediamente il 10 % in più rispetto al contemporaneo risultato nazionale: se alle elezioni per la Costituente la D. C. ottenne il 45,90% dei voti, già nelle successive del 1948 raggiunse il 60,35%, per assestarsi poi su valori sempre superiori al 50% fino al 1979, quando ebbe inizio una lenta ma inesorabile perdita di consensi che ebbe il suo epilogo nel 1992 quando, in piena crisi, la Democrazia Cristiana riuscì comunque a raccogliere, in provincia di Cuneo, il 30,63% dei voti. Un andamento analogo a quello delle elezioni politiche è riscontrabile nelle votazioni per eleggere il governo della Regione e della Provincia: anche nel periodo delle “giunte rosse” piemontesi, la provincia di Cuneo affidò la maggioranza dei propri voti alla Democrazia Cristiana, i cui risultati si aggiravano sempre attorno al 50%. Il “monopolio politico” democristiano nella provincia Granda, secondo alcuni analisti, è terminato unicamente nel 2004, con l’elezione a Presidente della Provincia di Raffaele Costa che, con la stessa base elettorale, andò a sostituire Giovanni Quaglia, esponente tipico della Democrazia Cristiana.
L’ascesa della Lega Nord deve essere collocata in questo contesto per poter capire i motivi degli ottimi risultati elettorali raggiunti e comprenderne le origini sociali e politiche.
BREVE STORIA DELLA LEGA NORD IN PROVINCIA DI CUNEO
I primi fermenti di stampo piemontesista raccolgono pochi consensi: il movimento Piemont (fig. 1), guidato dall’eccentrico Roberto GremmouQ, ottiene risultati molto modesti sin dalla sua prima comparsa (0.80% nel 1980 alle elezioni regionali, 0,39% alle europee del 1984). Il discorso piemontesista con tutti i tratti polemici verso i partiti, verso il meridione e una rivendicazione fortemente localista sembra non sfondare.
Fig. 1
I primi segni di un certo possibile successo elettorale (sempre relativizzato alla grandezza del movimento) giungono alle elezioni politiche del 1987, quando Piemont di Gremmo raggiunge l’1,85%, mentre Piemont Autonomista (fig 2) di Gipo Farassino ottiene il 3,41% dei consensi, pari a circa 13.000 voti3. Se alle successive elezioni europee la Lega Lombarda ottenne solo il 2,27% (risultato imputabile soprattutto alla mancanza di organizzazione del partito), è importante sottolineare l’inizio della diffusione del “verbo leghista” in provincia di Cuneo sin dalla fine degli anni ’80, in tempi piuttosto vicini alla diffusione del gruppo storico, quello di Varese, datata 19844.
Fig. 2
La nascita della sezione locale della futura Lega Nord avviene nel 1989 su iniziativa di Cesare Ansaldi (ex socialista tornato all’attività politica dopo un lungo periodo di assenza) e Stefano Mina, commerciante cuneese che in seguito ricoprirà il ruolo di segretario amministrativo locale del partito. Alla prima riunione, oltre ad Ansaldi e a Mina, è presente anche Barba Toni, professore e preside di scuola media e grande sostenitore della rivalutazione del dialetto. La prima riunione, comprendente cinque persone, viene presieduta da Gipo Farasino che, a Torino, è già in contatto con altri tre studenti universitari cuneesi che avranno ruoli nella Lega Nord: Alberto Sciandra, Guido Rossi e Alberto Cirio. Lentamente arrivano i primi iscritti e attivisti, come Domenico Comino, insegnante e futuro ministro del primo governo Berlusconi, e nascono le prime sezioni in tutta la provincia (la prima è a Saluzzo).
Le attività iniziali degli appartenenti al movimento sono quelle di creare proseliti: si cerca di diffondere la tesi federalista di Bossi tra i conoscenti, si avvicinano le persone nelle osterie dei paesi o davanti alle chiese dopo la messa domenicale e vengono diffuse le prime pubblicazioni (ciclostilate a Torino). La propaganda fatta di slogan urlati, dall’impatto molto forte e diretti, in prevalenza, contro il centralismo romano, il parassitismo meridionale e la pressione fiscale iniziano a far breccia tra gli elettori della provincia di Cuneo che premiano la Lega Nord con un inatteso 6,19% (pari a 22.696 voti) alle elezioni regionali del 1990. Da quel momento il partito ottiene una serie di risultati sempre in crescita, entrando in consigli comunali e in quello provinciale. Alle politiche del 1992 la Lega Nord ottiene, in provincia di Cuneo, il 20,39% (79.430 voti), secondo partito dopo la Democrazia Cristiana che scende al 30,63%. Eletti Domenico Comino, Gipo Farassino, Massimo Scaglione e Luciano Lorenzi.. Alle politiche del 1994 la Lega diventa il primo partito con il 25,33% (95.566 voti), superando Forza Italia che si assesta al 24,74%.
Due anni dopo, alle elezioni politiche del 1996, la Lega Nord tocca il suo massimo storico, raccogliendo, in provincia di Cuneo, il 32,53% dei consensi, un trionfo legato, soprattutto, ai voti delle campagne e delle valli, mentre è più contenuto il successo nelle città. Alleanze non gradite alla base e discorsi sulla secessione crearono un certo esodo sia di iscritti che di voti che portano al 10,71% delle elezioni 2001.
Gli ultimi risultati elettorali sono quelli riguardanti le elezioni provinciali del 2004, con 23.050 voti, l’8%; le elezioni regionali del 2005, con 38.909 voti, pari al 14%; le elezioni politiche del 9 – 10 aprile 2006, con 37.071 voti, pari al 10,81% al Senato, e 39.653 voti, pari al 10,64%, alla Camera; il referendum di riforma costituzionale sulla devolution, con la vittoria del Si (favorevole alla devolution) che ha raccolto il 52,15%.
I risultati elettorali della Lega Nord in provincia di Cuneo vengono letti da Claudio Dutto, consigliere regionale del Piemonte, come simili a quelli delle zone storiche del partito, come Bergamo, Varese, Treviso etc… Dopo una leggera crisi di 4/5 anni fa, Dutto vede una ripresa: “siamo di nuovo tornati a ottimi livelli, siamo comunque il secondo partito in provincia di Cuneo”5; anche Stefano Isaia ammette una leggera flessione, soprattutto nelle elezioni provinciali del 2004, quando gli avversari erano la sinistra, da una parte, e Raffaele Costa, dall’altra, il quale porta avanti ideali molto vicini a quelli della Lega Nord e, quindi, l’elettorato si è spaccato. In ogni caso, afferma Isaia, la Lega a Cuneo sta rimontando, c’è più facilità a formare le liste elettorali, gente che si reca nella sede e si avverte un consenso della gente.
LA GENTE DELLA LEGA NORD
La provincia di Cuneo conosce i movimenti autonomisti in quella che Giorgio Monastarolo
definisce la seconda fase dei movimenti autonomisti in Piemonte6: Monastarolo individua, infatti, tre momenti che segnano la storia di tali formazioni politiche in regione. La prima fase è quella che copre la prima metà degli anni ’80, quindi dal 1980 al 1985 circa: questo periodo si caratterizza per l’esordio delle formazioni a carattere prettamente locale, soprattutto nelle vallate attorno a Torino (Val Susa) dove è presente il movimento Piemont di Roberto Gremmo. La preoccupazione maggiore in questa fase è quella della visibilità: i risultati elettorali, infatti, sono molto contenuti e l’idea autonomista cerca di farsi notare puntando sulla polemica antimeridionalista e antiromana.
La seconda fase, quella che interessa più da vicino anche la provincia di Cuneo, prende
avvio con le elezioni amministrative del 1985 e giunge a termine con quelle politiche del 1987: i primi successi del movimento di Gremmo destano un certo stupore tra le forze politiche e creano un primo seguito a quello che, comunque, rimane un movimento come tipo di struttura e organizzazione. In questo contesto, nel 1987, nasce Piemont Autonomista, formato da un gruppo di fuoriusciti di Piemont e Gipo Farassino, personaggio noto nel mondo dello spettacolo dialettale. A questo periodo risalgono i primi risultati positivi in provincia di Cuneo: Liga Veneta, Piemont e Piemont Autonomista conquistano, assieme, il 5,99% dei voti.
Le terza fase è quella della federazione delle leghe autonomiste nel grande progetto della
Lega Nord del 1989, che ottiene uno strepitoso successo alle politiche del 1992. E’ In questo periodo che Cuneo conosce il primo nucleo di attivisti leghisti che cercano di dare una struttura al partito, grazie all’appoggio della sezione torinese.
Ma chi sono i leghisti le provincia di Cuneo? In base al campione intervistato possiamo distinguere tre categorie:
L’attuale classe dirigente del partito
L’ex classe dirigente del partito, uscita o espulsa dal movimento
La base sociale del partito
Prima di affrontare le singole categorie possiamo rilevare come gli appartenenti alla Lega Nord siano, nella maggior parte dei casi, persone senza una precedente esperienza politica, né come membri di partiti né come tesserati. Sono relativamente poche le persone che entrano nel partito di Bossi con alle spalle una qualche partecipazione attiva ai partiti della Prima Repubblica, spesso come amministratori locali in piccoli comuni.
L’attuale classe dirigente della Lega Nord della provincia di Cuneo è formata, in larga parte, da persone giovani, volti nuovi della politica che sono entrati nel partito dopo l’espulsione di Domenico Comino. In seguito all’estromissione dell’ex ministro, infatti, la Lega Nord cuneese attraversò un periodo alquanto turbolento e difficile: molti responsabili lasciarono l’impegno politico e la direzione provincia si spaccò, come dichiara Stefano Isaia, attuale segretario provinciale del partito: “dopo l’epoca Comino la Lega è franata perché la dirigenza si è sciolta o è andata via”7. Anche Claudio Dutto, del quale parleremo in seguito, conferma questa tesi e ricorda come l’uscita di Comino creò una grossa crisi, probabilmente dovuta anche a spaccature interne, portando a una gestione della segreteria sbagliata che ha fatto perdere consensi. La defezione di Comino, secondo Dutto, fu “sicuramente un gravissimo danno per la Lega, da cui ci stiamo risollevando adesso”8.
Del gruppo cosiddetto storico della Lega Nord cuneese uno dei pochi sopravvissuti è proprio Claudio Dutto, entrato nel partito nel 1990, come molti leghisti anche lui senza alcuna precedente esperienza politica; è stato segretario della sezione di Cuneo e della circoscrizione per poi essere eletto, nel 1995, consigliere comunale di Cuneo e consigliere regionale del Piemonte. È stato rieletto nelle successive consultazioni elettorali nella quali è risultato essere il candidato leghista più votato di tutto il Piemonte. Le ragioni che nel 1990 lo spingono ad entrare nella Lega Nord sono quelle comuni alla maggior parte degli intervistati, cioè un mix di sfiducia verso i partiti tradizionali, protesta contro la “Prima Repubblica” e riscoperta – valorizzazione della storia e della cultura locale: “la Lega era, da una parte, la rivalutazione del passato e, dall’altra, il cambiamento in termini politici… apparentemente sono due cose opposte, ma in realtà si sommano”9.
Le stesse argomentazioni ritornano nelle parole dell’attuale segretario provinciale della Lega Nord, Stefano Isaia, 28 anni, nel partito da 10: il suo ingresso nella Lega Nord risale, infatti, alla primavera del 1996 dopo aver assistito a un comizio di Umberto Bossi. Inizialmente semplice simpatizzante, diventa militante per poi ricoprire la carica di segretario di sezione a Caraglio – Valle Grana (CN), commissario di circoscrizione di Cuneo – Saluzzo, coordinatore dei Giovani Padani e, infine, segretario provinciale. Anche per Isaia è l’amore per la propria terra a spingerlo verso la Lega Nord: “la difesa del nostro popolo, della nostra terra, delle nostre radici, delle nostre tradizioni”10.
Anche Alessandro Torrero, segretario della sezione di Centallo (CN) e responsabile provinciale dei Giovani Padani, afferma che sono stati la difesa dei propri valori e della propria cultura a farlo avvicinare al partito: entra nella Lega Nord all’età di 16 anni, come sostenitore, anche lui dopo aver assistito a un comizio di Umberto Bossi; diventa militante attivo intorno ai 19 – 20 anni e fonda, nel 2001, assieme ad altri giovani, il Movimento Giovani Padani in provincia di Cuneo.
Come abbiamo visto in precedenza, la storia della Lega Nord in provincia di Cuneo è segnata dall’espulsione di Domenico Comino avvenuta in seguito al congresso di Varese del 1999; l’allontanamento dell’ex ministro del primo Governo Berlusconi segna, in un certo senso, la fine della prima fase del partito locale, aprendo una crisi interna che verrà superata con l’arrivo di persone nuove come, ad esempio, l’attuale segretario provinciale Isaia.
Comino entra nel movimento di Farassino, Piemont Autonomista, nel 1989, dopo un’esperienza di consigliere comunale d’opposizione nel suo paese natale, Morozzo (CN); eletto in una lista civica senza precise connotazioni ideologiche, entra in contatto con l’idea autonomista grazie al dott. Borsarelli e alla comune militanza nelle fila dell’A. N. A. (Associazione Nazionale Alpini) locale. L’appartenenza all’A. N. A. è un elemento importante anche perché molti degli aderenti alla Lega Nord in provincia di Cuneo hanno un passato di alpino che viene rivissuto ed esaltato all’interno dell’associazione con un senso di appartenenza molto forte, una fedeltà alla tradizione e un legame col territorio molto sentito. Comino viene eletto per la prima volta nel 1992, rieletto nel 1994, entra a far parte del primo Governo Berlusconi come Ministro per le politiche comunitarie; nel 1996 viene rieletto deputato e conclude la sua carriera politica nel 2001, quando torna a svolgere il mestiere di insegnante. L’uscita dalla Lega Nord avviene, come nella migliore tradizione leghista, attraverso l’espulsione “per aver attentato all’integrità politica del segretario”11, cioè per essersi autocandidato alla segreteria federale del partito: un affronto per Bossi e, soprattutto, per tutti i fedelissimi del senatur che vedono in lui l’unico possibile leader. Uscito dalla Lega Nord Comino fonda un piccolo movimento federalista (A. P. E.) che, però, ha pochissima fortuna e scompare in breve tempo.
Uscendo dalla Lega Nord Comino porta con sé molti elementi del gruppo storico cuneese come, tra gli altri, Alberto Sciandra, vero e proprio rappresentante della nuova generazione leghista dell’ “epoca Comino”. Sciandra, ex segretario provinciale della Lega Nord dal 1992 al 1998, è oggi dipendente della Ferrero (Alba) dove si occupa della pianificazione delle produzioni dello stabilimento tedesco dell’industria dolciaria albere; entra in contatto con Piemont Autonomista quando, studente universitario a Torino, frequenta il gruppo Pietro Micca, associazione di rievocazione storica locale. Anche questo elemento è degno di nota: la conoscenza della storia locale, l’esaltazione di certi momenti particolarmente decisivi, soprattutto dal punto di vista emotivo, accompagna la Lega Nord fin dall’inizio ed è riscontrabile già nel simbolo adottato, quell’Alberto da Giussano, guerriero del XII secolo che, con la spada levata, chiama a raccolta i comuni lombardi contro l’Imperatore Federico Barbarossa. La passione per la storia locale, dunque, è uno degli elementi che spinge Sciandra ad entrare in Piemont Autonomista prima (attivandosi per la campagna elettorale delle europee del 1989, quando Bossi crea un cartello di movimenti autonomisti denominato Alleanza Nord fig. 3) e nella Lega Nord poi; un altro elemento (di cui tratteremo più approfonditamente più avanti) è legato all’ambiente della destra estrema frequentato da Sciandra: personaggi vicini a Ordine Nuovo, la rivista Orion etc… che spingono alcuni giovani ad aderire al progetto leghista perché, ai loro occhi, appare come un movimento per la riscoperta delle tradizioni condito da una venatura di razzismo.
Fig. 3
Anche Riccardo Vaschetti esce dalla Lega Nord dopo il congresso di Varese del 1999: entrato nel partito nel 1992, “quasi per caso” 12, proviene da una precedente esperienza politica come consigliere comunale in un lista civica a Bastia Mondovì (CN), paese di circa 600 abitanti. Il suo ingresso nel movimento di Bossi è dovuto alla sua esperienza nel settore amministrativo che, benché minima, rappresentava già un ottimo curriculum per un partito come la Lega Nord, composto da neofiti della politica. Vaschetti diventa Sindaco di Mondovì (CN) nel 1994 e, caduta la Giunta dopo tre anni a causa della frattura con il Partito Popolare, si ripresenta candidato e viene rieletto Sindaco. Due volte segretario cittadino del partito a Mondovì, membro del direttivo provinciale e del primo Parlamento del Nord a Mantova, membro del direttivo regionale dell’ANCI e, in seguito, vicepresidente della Confederazione dei comuni e delle province del Nord, Vaschetti segue da vicino le vicende che portano all’espulsione di Comino, condividendone le azioni e la sorte: la sua lettera di dimissioni si è incrociata con quella di espulsione per attività contrarie allo statuto: “cose mai dimostrate, io non ho mai fatto niente contro il movimento, ho sempre fatto la mia parte”13.
Un altro personaggio che esce dalla Lega Nord con Comino è Stefano Mina, fondatore, assieme ad altre quattro persone, della sezione cuneese del partito e segretario amministrativo cittadino: anche lui, come Comino, aveva fatto parte, in precedenza, di varie liste civiche, senza particolari caratterizzazioni partitiche, ed entra in contatto con il movimento autonomista tramite Cesare Ansaldi, ex socialista pensionato.
Comino, Sciandra, Vaschetti e Mina rappresentano la prima fase della Lega Nord in provincia di Cuneo: essi hanno ricoperto i diversi livelli gerarchici all’interno del partito, dal segretario amministrativo cittadino fino al deputato – ministro. Tutti quattro sono volti nuovi della politica benché alcuni di loro abbiano già avuto esperienze in liste civiche. Si tratta, ovviamente, di un gruppo di persone estremamente ristretto, ma che, comunque, contraddice in parte lo stereotipo del leghista come personaggio nuovo, estraneo alla politica. La caratteristica di persona nuova alla politica è più marcata, invece, nella base della Lega Nord, composta da artigiani, commercianti, alcuni operai e casalinghe.
La base elettorale della Lega Nord è una porzione della società che varia nel corso del tempo, mantenendo fisso quello che viene definito lo “zoccolo duro dei fedelissimi”. Al suo esordio come Lega Nord (elezioni provinciali e regionali del 1990: risultati, rispettivamente, di 6,19% e 5,18%), il partito di Bossi in provincia di Cuneo riesce a canalizzare quella protesta elettorale che sfocerà nelle elezioni politiche del 1992 e ottiene voti sia da chi in precedenza era solito non votare, sia da chi, invece, aveva un partito di riferimento ma, deluso, decide di appoggiare la Lega Nord per lanciare un segno di rabbia verso il sistema politico italiano.
In generale la Lega Nord presenta, nel periodo di massima espansione, una fisionomia che si potrebbe definire “a piramide”, con una forte e ampia base (“persone senza un percorso politico”14), formata da elettori e attivisti, e un vertice ridotto, caratterizzato dalla mancanza, o scarsa rilevanza, di quadri. Il motivo di tutto ciò può essere rintracciato nell’assenza di una vera e propria proposta politica e di una carenza di cultura di governo: come ha dichiarato Carlo Benigni (ex P. R. I. ed ex .D.C.) “la classe dirigente di un partito si produce anche attraverso una strumentazione culturale, un sistema di valori e di obiettivi che consente di avere una visione della società”15; essendo la Lega Nord caratterizzata da una politica di chiusura e di scontro , tutti gli elementi indicati da Benigni vengono a mancare e quindi risulta anche meno probabile la preparazione (politica e intellettuale) della classe dirigente. Questo fattore è stato sottolineato anche da Alberto Sciandra che, venutosi a confrontare con i dirigenti nazionali (o federali, nel lessico leghista) del partito afferma che essi erano poco preparati (“non leggevano i giornali”16). Tale impreparazione, sempre secondo Sciandra, era diffusa anche nella base elettorale, conquistata dagli slogan facili e populisti e non interessata ad un eventuale programma di governo vero e proprio. Medesimo concetto è stato espresso dall’attuale Sindaco di Mondovì (CN), Aldo Rabbia (assessore tecnico durante il mandato di Sindaco di Riccardo Vaschetti,): “la Lega era un movimento spontaneo, con una grande base, ma senza una classe dirigente capace, soprattutto senza esperienza”17.
Come ha spiegato Mino Allemandi nella sua testimonianza (una militanza nel P.C.I. e nel P.S.I. di 30 anni prima di passare alla Lega Nord, dove rimarrà 11 anni), la Lega Nord veniva vista come “un partito o un movimento radicato nel Nord, che voleva difendere gli interessi del Nord, pur rimanendo nell’unità nazionale”18. In una prima fase, quindi, la Lega Nord è vista come un movimento che ha come obiettivo la tutela di determinati interessi, strettamente locali, e non legato a questa o quella fazione politica: tale visione permette al partito di avvicinare classi sociali diverse, “operai e imprenditori delle piccole imprese, commercianti e settori del ceto medio urbano impiegatizio” 19.
Le componenti sociali della base leghista sono quindi molto eterogenee: commercianti e artigiani, ma anche operai e casalinghe si avvicinano al partito di Bossi che viene ad acquisire un seguito molto eterogeneo.
Stando alla testimonianza di Mina e studiando gli andamenti elettorali i voti della Lega Nord provenivano dal P.S.I. (“che non aveva più un punto di riferimento”20), dal P.R.I. e dal P.L.I., ma la maggior parte di essi era targato Democrazia Cristiana.
IL VOTO EX D. C.
Come ha evidenziato Ilvo Diamanti ne “Il male del Nord” 21, il successo della Lega Nord avviene in zone con un forte radicamento e tradizione democristiana: il passaggio dalla “tradizione bianca” alla “protesta verde” è particolarmente evidente nel caso cuneese.
Come già accennato nell’introduzione, la provincia di Cuneo ha sempre garantito alla Democrazia Cristiana un successo sicuro e abbondante, con un 10% in più, in media, del risultato nazionale; con l’irrompere della Lega Nord sul panorama politico, molti fedeli elettori dello scudo crociato passano sotto le insegne di Alberto da Giussano donando al partito di Bossi un successo inaspettato e, in alcuni frangenti, maggiore delle zone dove la Lega era nata (Varese). Per comprendere tale massiccio spostamento di voti è necessario ricordare cosa era la D. C. cuneese negli anni ’80: da partito interclassista, aperto e, nonostante tutto, attento all’evolversi della società, la D. C. si era trasformata in un partito in cui la componente della Coltivatori Diretti aveva monopolizzato il potere; la Coldiretti, trascurando il suo ruolo prettamente sindacale, era riuscita a conquistare la dirigenza del partito, venendo a svolgere un compito di direzione politica e di mediazione che non era suo.
Questo processo, che prende il via a metà anni ’80, si inserisce in un contesto di oscillazione dei prezzi e di liberalizzazione dei mercati che crea una forte sensibilità tra i coltivatori: se a tutto ciò si aggiunge l’esaurirsi delle provvidenze privilegiate e dei molti finanziamenti elargiti alla categoria, è possibile comprendere come essa, guardando il panorama politico dell’epoca, si senta attratta dalla Lega Nord che promette la difesa degli interessi privati e demonizza lo Stato centrale, dipinto come un vampiro che succhia il sangue attraverso le tasse. Il voto agricolo organizzato era, molto spesso, un voto di valore, ma anche di scambio, basato sui privilegi: a un certo punto la D. C. sembrò non più in grado di garantire certi privilegi e la Lega Nord apparve come l’interlocutore politico che maggiormente sembrava in grado di tutelare la categoria.
Grazie agli slogan urlati, facili e basati sul puro populismo, la Lega Nord intercetta i delusi dell’ex D. C. – CC. DD. e si assicura i voti di buona parte dell’ex elettorato democristiano, come dice Claudio Dutto “la gente più semplice, più umile, più popolana e pertanto peschiamo nello stesso bacino dell’ex Democrazia Cristiana”22. Tale rapporto verrà esaurendosi nel corso del tempo, soprattutto quando la Lega Nord abbraccerà una filosofia misticheggiante sul dio Po e accennerà alla secessione, aspetti della propaganda, questi, che non trovano una corrispondenza negli interessi essenzialmente pratici del contadino cuneese che vuole avere un mercato il più protetto possibile per i suoi prodotti e vedere tutelata la sua professionalità. Come ha dichiarato Vaschetti, ricordando come gran parte degli elettori D. C. passarono alla Lega Nord nel 1994, “chi votava D.C. non è gente che prende il moschetto e va a sparare al meridionale o al marocchino”23. I valori che in un primo tempo avvicinano elettori della D. C. alla Lega Nord vengono meno, quindi, nel momento in cui Bossi decide per la deriva secessionista e violenta, spaventando e allontanando dal partito la parte più moderata che si riversa su altri movimenti politici.
Un elemento estremamente importante sul quale fece leva la Lega Nord per raccogliere consensi elettorali fu quello della paura, a volte solo percepita e non motivata, di destabilizzazione, di perdita della sicurezza, economica e sociale. Su questo fattore si innesca la propaganda leghista che riuscì a coinvolgere due fattori presenti nell’elettorato cuneese:
La paura di instabilità e perdita economica che agitava soprattutto le categorie dei commercianti e degli artigiani.
La paura, più simbolica che reale, dello straniero, dell’extracomunitario che giungeva nel Nord per rubare il lavoro agli autoctoni.
Commercianti, artigiani e liberi professionisti in generale vengono attratti dagli slogan leghisti che garantiscono, seppur nella voglia di rottura e cambiamento, il mantenimento di un certo status economico, minacciato dai cambiamenti, visti come imposizioni dall’alto (in primis, dall’Europa) e con la garanzia che il piccolo proprietario, l’azienda di famiglia potranno continuare il loro lavoro e, spesso, proseguire nell’evasione fiscale, altro grande tema propagandistico che fece breccia nel cuore di molti, soprattutto in quella che Ginsborg definisce “quella nuova Italia che si era sviluppata nella provincia profonda, in un mondo fatto di capannoni, villette e caotica espansione urbana”24 .
La paura legata allo straniero colpì, a differenza della prima, non solo determinate categorie, ma buona parte della società : gli arrivi delle prima imbarcazioni stracolme di immigrati (soprattutto dai paesi balcanici, come l’Albania) destarono una serie di preoccupazioni e timori, che si trasformarono presto in paure, verso uno stereotipo, quello dell’immigrato delinquente, a seconda delle occasioni sfaccendato o “rubalavoro” alla gente del Nord. È curioso notare come la paura dell’immigrato, spesso, arriva prima dell’immigrato in carne e ossa: Antonio Degiacomi (albese, ex sindacalista CISL) racconta come il voto leghista anti - immigrati nella zona fosse maggiormente diffuso “nelle zone più periferiche delle campagne, dove per lungo tempo gli immigrati erano meno presenti: era quindi più un immaginario, una paura dell’immigrato che non la vera e propria presenza di stranieri, che guidò, in parte, il voto leghista”25. Sempre Degiacomi, sintetizzando la situazione, afferma che “il voto [leghista N. d. R.] era prevalentemente agricolo e di evasoti fiscali attratti dalla protesta sociale e fiscale”26.
Come reagì la Democrazia Cristiana a tutto questo? In un primo momento lo scudo crociato sottovalutò l’enorme portata del messaggio leghista e la sua capacità di entrare in sintonia con la pancia delle gente, dicendo alle persone quello che esse volevano sentire. Nell’annuale seminario di formazione dei Giovani D. C. cuneesi del 1992 venne invitato a parlare Domenico Comino: l’onorevole della Lega Nord non destò particolare interesse nei giovani democristiani di cui faceva parte Carlo Benigni: “forse sottovalutammo la capacità dirompente del messaggio della Lega rispetto all’elettorato democristiano e tradizionale”27. La dirigenza stessa della Democrazia Cristiana cuneese non colse la potenza della Lega: presa dalla guerra interna tra ciò che rimaneva delle correnti, la D. C. (locale e nazionale) dovette affrontare un momento particolarmente difficile come quello di Tangentopoli. Benché la quasi totalità della classe dirigente democristiana locale non venne indagata o collegata con Tangentopoli, l’immagine dello scudo crociato subì un tracollo notevole e tale processo, in un certo senso, favorì l’emergere della Lega Nord con le sue parole di astio verso tutto ciò che era politica. Inoltre l’impreparazione politica dei dirigenti D. C. dell’epoca, praticamente tutti provenienti dalla Coltivatori Diretti, guidò erroneamente il giudizio che i quadri davano sulla Lega Nord, cioè quello di un fenomeno talmente rozzo che si sarebbe esaurito in poco tempo.
IL RUOLO DELLA CHIESA
Quale sia stato il ruolo del clero locale nell’ascesa della Lega Nord non è facile da intuire: le
testimonianze forniscono pareri in parte discordi sull’eventuale appoggio della Chiesa al partito di Bossi. Di sicuro, in un primo momento, la Lega Nord, a livello nazionale, fu impegnata in un attacco totale contro tutti e tutto dal quale non venne risparmiata l’istituzione ecclesiastica: “inizialmente Bossi attaccava alcuni vescovi”28.
Nella provincia di Cuneo, inizialmente, furono riscontrate della aree di simpatia leghista, soprattutto da parte di parroci di piccoli paesi: più che di appoggio vero e proprio si potrebbe parlare di una sorta di tolleranza del clero. Anch’esso si trovava di fronte alla scomparsa del suo naturale referente politico, quella Democrazia Cristiana alla quale assicurò un appoggio totale sin dall’inizio della Repubblica: nel 1948 la cosiddetta “diga contro il comunismo” fu composta in larga parte da membri della Chiesa che consigliavano chi votare e si attivavano come veri e proprio propagandisti. Nel caso della Lega Nord non si verificò (stando alle testimonianze finora raccolte) un vero e proprio attivismo, bensì una sorta di tacito accordo secondo il quale il clero tollerava la presenza della Lega Nord, senza prendere una posizione contraria. Questo approccio era maggiormente significativo proprio nelle zone dove la Lega Nord otterrà maggiori consensi: “più il clero era piccolo, di campagna, maggiore era la simpatia verso la Lega”29.
Da parte degli attivisti e dirigenti della Lega Nord locale, invece, è stato negato l’appoggio (anche minimo, o di simpatia) da parte del clero locale: Stefano Mina dichiara che “la Chiesa non appoggiò la Lega Nord”30, mentre per Alberto Sciandra “la Chiesa ha avuto un ruolo marginale”31); Vaschetti afferma che le gerarchie ecclesiastiche non erano vicine alla Lega Nord “anche perché Bossi in una campagna elettorale attaccò addirittura il Papa… lui se ne inventava una al giorno per andare sui giornali”32. Della stessa opinione anche Claudio Dutto il quale afferma che fin dall’inizio la Chiesa è sempre stata contro la Lega Nord “e direi che è un po’ una cosa che non capisco perché, in realtà, la Lega non solo non ha mai attaccato i principi cristiani, ma si è sempre atteggiata a difenderli perché fanno parte del nostro tesoro culturale”33. Una distanza che secondo Dutto perdura ancora oggi, benché i valori e le battaglie siano comuni.
Leggermente diversa l’opinione di Domenico Comino: benché anche lui non riscontri un appoggio diretto della Chiesa, Comino ricorda colloqui cordiali con molti parroci, senza che però questi si schierassero direttamente. L’ex ministro afferma, inoltre, che ci furono contatti con alti e bassi prelati che esternarono la loro preoccupazione per un eventuale “invasione straniera” (prettamente di stampo islamico) e perorarono un intervento della Lega Nord per bloccare una prima legge sulla fecondazione assistita. Queste affermazioni evidenziano, più che un appoggio, una comunanza di idee tra Chiesa e Lega Nord, quella che Comino definisce una “vicinanza di valori su alcuni aspetti, come la tutela della famiglia, della natalità, dell’immigrazione controllata”34. Curiosamente Sciandra fa notare come nella Lega Nord esistano, proprio su questi temi, contraddizioni notevoli: da una parte si inneggia al dio Po, si richiamano vecchie radici celtiche, con riti annessi, mentre poi ci si dichiara difensori della civiltà cattolica, opponendosi all’amoralità delle coppie di fatto (“Borghezio parlava di neopaganesimo, mentre ora giocano a fare i cattolici – tradizionalisti”35). La medesima contraddizione è sottolineata anche da Carlo Benigni, il quale sottolinea come una cultura come quella leghista, fondata sulla chiusura, sull’egoismo e su razzismo velato, non possa in nessun modo essere compatibile con la filosofia della Chiesa che dovrebbe, invece, essere tesa all’apertura, ai deboli e ai diversi. Secondo Benigni, quindi, “la Lega è strumentalmente cattolica”36, si pone, cioè, come portatrice di valori cattolici unicamente per riuscire ad attirare a sé i voti di quella parte della società. Ugo Maria Tassinari fa notare come Bossi e la destra leghista attacchino verbalmente la Chiesa, “come istituzione politico –finanziaria puntello del «potere romano», ma anche come avanguardia militante e baluardo ideologico della solidarietà ai «dannati della terra» (immigrati, tossicodipendenti, prostitute e disperati vari) che l’egoismo sociale leghista vorrebbe spazzare via con piacere”37. Una contraddizione, dunque, che è sempre più evidente, ma che, comunque, non mina l’appoggio al partito nelle zone più tradizionalmente bianche perché Bossi e soci caratterizzano la polemica verso la Chiesa intendendo quest’ultima come un lontano potere politico romano e mai in termini irreligiosi o antireligiosi. Vaschetti, afferma che la mitologia celtica adottata dal partito fu una scelta fatta per poter dare all’elettorato dei simboli, che fossero semplici e comprensibili.
La contraddizione tra valori cristiani e rituali celtici non è però riscontrata negli attuali dirigenti del partito cuneese: per Stefano Isaia nei riti esiste una componente di folklore, legata a significati profondi e radicati, che non entrano in contrasto con quella che è una delle battaglie più importanti della Lega Nord, cioè la difesa della cristianità, soprattutto per contrastare una presunta invasione islamica. Isaia dichiara che la Lega è sempre stata di area cristiana, anche se non sempre ci sono state convergenze con la Chiesa. Personalmente Isaia si dichiara molto felice dell’attuale Papa perché è un Papa conservatore, “che dice si al dialogo, però mettiamo i nostri paletti”38.
Anche per Claudio Dutto la presenza di valori cristiani e riferimenti celtici non crea un contrasto perché esse sono due cose completamente distinte: la parte cosiddetta celtica è dovuta, unicamente, a ricerche storiche che non hanno nulla di religioso: “i nostri antenati erano celtici, erano galli e avevano una loro civiltà, comparabile con la civiltà romana, ma diversa”39.
La vicinanza con l’insegnamento della Chiesa è sottolineata anche da Alessandro Torrero il quale tende a precisare i diversi ruoli che dovrebbero avere politica e religione, ma, nel contempo, ricorda come certe battaglie portate avanti dalla Chiesa siano in sintonia con quelle della Lega Nord: ad esempio la lotta contro l’eliminazione dei crocefissi dai luoghi pubblici e la difesa di altri valori cattolici che, afferma Vaschetti, nella Lega Nord ci sono sempre stati.
LA PROPAGANDA DELLA LEGA NORD
Abbiamo visto in precedenza come molti dei futuri elettori della Lega Nord venissero attratti
dagli slogan del partito che promettevano sicurezza e protezione dai cambiamenti, economici e sociali che essi fossero: i famosi “Roma ladrona” e “Padroni a casa nostra” fecero breccia in tutti coloro che vedevano come usurpatori sia lo Stato centrale (classica la raffigurazione d Roma capitale come una grassa signora che raccoglie e tiene per sé le uova della gallina del Nord, fig 4) che lo straniero, delinquente o ruba lavoro, e il meridionale, parassita che mangia alle spalle del Nord. Esemplificativo, in questo senso, un manifesto del 1989 della Lega Lombarda – Alleanza Nord: “Nord libero – Né stato centralista né egemonia meridionale” 40. Da sottolineare il fatto che tutti i manifesti, stando alle parole di Stefano Isaia, vengano ideati da Bossi in persona.
I messaggi della Lega Nord prefigurano una comunicazione forte e urlata che dice alla gente esattamente quello essa vuole sentirsi dire: in un periodo di difficoltà economica, con un’affluenza notevole di immigrati stranieri è probabile che alcuni soggetti, politicamente meno preparati e senza un partito di riferimento, vedano nella Lega Nord il movimento che finalmente proteggerà i loro interessi, rassicurandoli nei propri pregiudizi.
Fig. 4
La propaganda leghista era composta, quindi, da slogan e messaggi fondati sul “populismo puro, necessario per cercare un cambiamento successivo, per incunearsi in un sistema di forze politiche bloccato che non permetteva la nascita di nuove formazioni” 41: a dirlo è Domenico Comino stesso, un esponente di punta della prima Lega Nord. Anche Sciandra, altro membro importante del partito cuneese, afferma che “le prime uscite erano slogan, indirizzati a una militanza razzista e che sentiva quello che voleva sentirsi dire” 42. In un certo senso, dunque, gli esponenti stessi sapevano bene che quello che andavano proclamando nelle piazze durante i comizi o scrivendo sui manifesti elettorali non erano altro che messaggi senza una vera consistenza politica: si trattava unicamente di urlare forte, cercare di superare, in ogni modo, la comunicazione politica del tempo e farsi notare. Per fare questo l’unico modo possibile era quello di usare una comunicazione estremamente semplice, basata su poche parole che evocassero emozioni nella gente (libertà, Nord, tasse etc…).
L’espediente propagandistico ha funzionato fino a quando gli slogan si sono rivelati tali e la Lega Nord ha affiancato ai soliti discorsi quello della secessione e della mitologia neopagana, con i riti in celebrazione del dio Po: questo ha creato un certo sconcerto nella base che non era pronta a un tale estremismo della linea politica partitica. In quel periodo furono molti i militanti che abbandonarono la Lega Nord, così come molti furono coloro che decisero di non votare più Bossi e soci, spaventati quasi da quelle uscite azzardate e che minavano l’unità nazionale.
L’allontanamento della base è avvertito anche da alcuni dirigenti locali del partito: Sciandra afferma che in quel periodo egli decise di non seguire troppo le allusioni al dio Po e cose simili, ma di attivarsi, invece, per far conoscere alla gente la posizione della Lega Nord sulle questioni e sulle problematiche locali. È lo stesso Comino a confermare tale visione: “Bossi, preso da delirio di onnipotenza, predicava la secessione su tutte le piazze ottenendo, però, risultati contrari alle aspettative. La gente locale non voleva sentire parlare di secessione o cose simili:desiderava un impegno più pragmatico, più diretto alla soluzione dei problemi” 43. Anche Vaschetti ricorda che la deriva secessionistica causò una perdita di consensi sia come simpatizzanti che come militanti; anche gli amministratori leghisti (Vaschetti era Sindaco di Mondovì) erano molto critici a riguardo. Vaschetti inoltre racconta di una riunione del direttivo provinciale cuneese al quale partecipò Bossi dicendo che “la fase democratica del movimento era finita, si entrava nella fase rivoluzionaria, che sicuramente sarebbero scappati dei morti […] che «ci sarà da combattere e noi la battaglia sulla secessione la vinceremo”44. Vaschetti reagì ricordando il suo ruolo di Sindaco e affermando che non avrebbe appoggiato tale scelta: Bossi rispose che gli amministratori sarebbero dovuti rimanere al loro posto perché “erano la faccia spendibile del movimento, la faccia istituzionale”45.
Il passaggio alla secessione, ricorda Dutto, avvenne in un periodo in cui era fallita la posizione del partito, ma non per problemi interni, bensì sulla base dei risultati elettorali: “sembrava che non ci fosse più la possibilità di trasformare il paese in un paese federale e allora la Lega aveva fatto il passo verso la secessione, la divisione”46. Dutto ammette che non vi fu un grosso seguito, anzi, si verificò una certa flessione elettorale sul lungo periodo: la Lega Nord scelse in seguito di ritornare al federalismo con la devolution.
L’introduzione delle Guardie Padane non facilitò il riavvicinamento dell’elettorato medio della Lega Nord, creando alcune perplessità anche in alcuni suoi quadri: se per Stefano Mina si trattò unicamente di un qualcosa di folcloristico, un bisogno avvertito da Bossi di una ricerca sui simboli, ben più grave è il giudizio di Sciandra: secondo lui tutto l’interesse verso la mitologia celtica, l’uso di simboli e riti rispondeva a una direttiva centrale di qualcuno, proveniente dalla destra estrema, che conosceva molto bene l’argomento e riuscì ad influenzare Bossi. Le Guardie Padane furono un esperimento interessante, ammette Sciandra, ma anche pericoloso, definite dallo stesso Sciandra “le SA della situazione”47.
L’allontanarsi della base del partito per Sciandra fu però causata anche da altri motivi: per l’ex segretario provinciale il militante leghista non riuscì a comprendere appieno la sua tattica di posizionare uomini leghisti nel sottogoverno (banche e istituzioni varie) per controllare da vicino e cambiare lo stato delle cose; questo suo obiettivo dovette scontrarsi con l’idea del militante il quale, alla fine, desiderava anche lui occupare un posto di potere, con tutti i vantaggi annessi: “avevamo una massa di militanti che non voleva cambiare le cose, ma voleva cambiare gli uomini […] la base voleva qualcosa per lei, non per la società”48.
IL SINDACATO PADANO (SIN.PA.): IL CASO MICHELIN
Il Sindacato Padano (Sin.Pa.) nacque da un’idea di Bossi che, stando alla testimonianza di
Comino, intendeva coinvolgere i lavoratori dipendenti in un progetto di sindacato alternativo alla triplice (C.G.I.L – C.I.S.L. – U.I.L.) cercando, così, di ottenere un posto nella negoziazione sindacale. Il progetto trovò entusiasta Alberto Sciandra che ritiene fondamentale, per un partito, avere una presenza radicata nella società e quindi anche nei sindacati, interlocutori ai quali si rivolge il lavoratore. A livello nazionale il progetto non ebbe molta fortuna, mentre in provincia di Cuneo ottenne un unico ma significativo successo alla Michelin.
Lo stabilimento Michelin di Cuneo iniziò l’attività nel 1963 e attrasse moltissimi lavoratori da tutta la provincia, rappresentando un ottimo campione della mentalità e degli atteggiamenti del cuneese tipo; all’apice della produzione erano circa 5.800 gli operai impiegati, mentre oggi ne sono rimasti 2.400. La storia sindacale dello stabilimento risente, ovviamente, della nascita piuttosto recente ed è diversa da altre fabbriche, presenti già in precedenza (ad esempio Savigliano etc…).
Il Sin.Pa. alla Michelin nasce come movimento intorno al 1997 – 1998 per iniziativa di Valerio Poggi (espulso dal Sin.Pa., Poggi passerà nell’U.G.L.) e di altri tre operai; la campagna per le elezioni delle rappresentanze interne del 2000 fu impostata dal Sin.Pa. su promesse e richieste oggettivamente impossibili da ottenere, cercando di cavalcare quel voto di protesta che già aveva dato ottimi risultati alla Lega Nord.
Le votazioni sancirono il successo del Sin.Pa. che fu il sindacato più votato: durante il loro mandato i rappresentanti del Sin.Pa. godevano dell’appoggio di una buona parte degli operai, facendo, a volte, uscite clamorose e richieste assurde, come ricorda Antonio Fina, delegato C.G.I.L. alla Michelin per 32 anni: “Il Sin.Pa faceva delle uscite clamorose, delle sparate, come, ad esempio, richieste di aumenti salariali di 500.000 lire subito, mentre gli accordi si aggiravano sulle 90.000 in due anni”49. Dopo circa 6 mesi venne firmato un accordo tra sindacati e dirigenza, ma il Sin.Pa., durante le assemblee, dichiarò che non avrebbe dovuto firmarlo, mettendo in evidenza una certa impreparazione e ingenuità dei sindacalisti padani. Questo generò un distacco degli operai che abbandonarono il Sin.Pa.: dopo un anno il Sin.Pa. sparì e attualmente è praticamente inesistente nelle fabbriche del cuneese.
Analizzando l’esperienza del Sin.Pa. alla Michelin è evidente come la vittoria del sindacato di Bossi fu il risultato di due fattori: la presenza di un personaggio noto e trascinatore (Poggi) e un momento difficile nel mondo del lavoro; Comino afferma che quello del Sin.Pa. alla Michelin fu “un successo di persone, non di programma, anche perché il programma non c’era”50.
Il voto dato al Sin.Pa. era un voto di protesta, dato alla persona più che al movimento e basato su una protesta più che su una vera e propria proposta politica: “nel Sin.Pa. non era presente una vera e propria base politica: c’era un vento di protesta e basta, come nella stessa Lega Nord”51 . Le ragioni che possono aver portato alla vittoria tale formazione sindacale possono essere quindi rintracciate in una crisi del mondo del lavoro, avvertita dagli operai, sui cui si innesca la presenza di immigrati, letta però come una minaccia per i posti di lavoro, e un ruolo dei sindacalisti tradizionali sempre più di carattere burocratico e distante dal mondo del lavoro. In questo contesto il sindacato tradizionale evita di scendere sul piano emotivo, mantenendo un discorso razionale, e lascia spazio al Sin.Pa. che di razionale ha ben poco e punta tutto sugli slogan facili e immediati, adattati al contesto ma molto simili a quelli della Lega Nord. Come spiega Benigni, quando il lavoratore vede che “rischia di diminuire l’occupazione, vede una presenza di immigrati, ritiene che il sindacato non tuteli il suo potere d’acquisto, può anche cedere alle lusinghe di un sindacato alternativo, che poi si è rivelato un mero espediente propagandistico, senza sostanza e, infatti, non ha tenuto”52.
Sul futuro del Sin.Pa. si esprime il segretario provinciale della Lega Nord: il Sindacato Padano esiste ancora e, dopo la vittoria alla Michelin, è stato gestito in modo erroneo; attualmente il partito sta cercando un referente per il Sin.Pa. e spera di trovarlo presto.
ELEMENTI DI ESTREMA DESTRA NELLA LEGA NORD
Un aspetto molto interessante della Lega Nord cuneese è la sua componente di destra, o
estrema destra, rappresentata da Alberto Sciandra e i giovani che entrarono con lui nel partito di Bossi. Come afferma Tassinari, “i caratteri di destra della Lega Nord sono da subito evidenti” 53: sin dall’inizio furono molti i personaggi che trovarono nella Lega Nord un posto dove proseguire una politica di destra in un movimento potenzialmente forte e in continua ascesa “prima del riassetto del panorama politico realizzatosi nel 1994, nella Lega Nord confluirono risorse umane e soprattutto organizzative provenienti dall’ala destra della vecchia D. C. e soprattutto dal M.S.I.”54. Tra i tanti che aderirono alla Lega Nord spicca la figura di Mario Borghezio: vicino, a suo tempo, a Ordine Nuovo, noto per le sue ronde anti - immigrati nei quartieri di Torino, definito come grande cultore di pratiche esoteriche, commemora ogni anno i caduti della R. S. I. e ha organizzato una messa “tridentina” contro la presenza islamica a Porta Palazzo a Torino. Tra le altre cose, deputato europeo.
Alberto Sciandra, ex segretario provinciale della Lega Nord, proviene, culturalmente, dalla destra ultraradicale: “un po’ le suggestioni della Nouvelle Droite francese, un po’ il tradizionalismo alla Julius Evola”55; in questo ambiente si inseriscono i contatti di Sciandra con altre persone vicino alla rivista Orion di Maurizio Murelli, ex guardia del corpo di Giorgio Almirante . La figura di Murelli è molto importante per i giovani come Sciandra: recluso nel carcere di Saluzzo (CN), dove scontava una pena a venti anni per l’omicidio di un agente di polizia durante un corteo missino nel 1973. Abbandonato dal partito, Murelli, in carcere, entra in contatto con membri di Ordine Nuovo dal quale apprende quelle basi politiche che non aveva e diventa una sorta di guida per i giovani di destra che frequentano l’ambiente saluzzese. Collegata a questo gruppo era la rivista Orion, fondata dallo stesso Murelli ed edita dalla società editrice Barbarossa: “questa rivista esprime una linea nazional – rivoluzionaria, con forti richiami alla Nuova Destra di Alain de Benoist”56. I temi affrontati sono la lotta al mondialismo inteso come dominio della finanza internazionale nelle mani di ebrei e massoni al quale contrapporre un nuovo modello di Europa con una forte connotazione antiamericana grazie all’aiuto di forze nazional – comuniste, tradizionaliste, integraliste, dell’ex impero sovietico e quelle della sfera islamica. La componente filo – islamica è dichiarata dallo stesso Sciandra che ricorda come venisse ipotizzata una sorta di alleanza con il mondo dell’Islam contro il mondialismo e la globalizzazione. La discussione era molto accesa anche sui risvolti economici, soprattutto sul supplemento Orion – Finanza, ideato e finanziato da Mario Borghezio.
In questo ambiente avviene, quindi, il contatto tra Sciandra e la Lega Nord: la sua scelta di seguire la “via del guerriero” piuttosto che quella “del sacerdote”, stando alla filosofia evoliana, trova uno sfogo proprio in quel movimento che stava crescendo e che coi i suoi slogan si poneva come un movimento tradizionalista e, velatamente, razzista. Come Sciandra molti del gruppo di Saluzzo entrarono nella Lega Nord e non fu un caso che una delle prime sezioni leghiste ad aprire i battenti fu proprio quella di Saluzzo.
Secondo Sciandra la decisione di iniziare a “giocare con il dio Po”57, con un uso di determinati simboli e miti celtici (“la riscoperta del celtismo in salsa padana”58) furono determinati da personaggi interni alla Lega Nord e provenienti dagli ambienti dell’estrema destra, persone che conoscevano bene l’importanza comunicativa ed emotiva di determinati simboli e che riuscirono a convincere Bossi ad incamminarsi su questa strada, giudicata, però, da Sciandra molto pericolosa: “Abbiamo giocato molto agli apprendisti stregoni e che nessuno si sia fatto male è stato davvero un caso”59.
Per Claudio Dutto i concetti espressi dalla Lega Nord, invece, non sono così vicini a quelli tipici delle formazioni di estrema destra italiana: “le radici sono diverse […] uno dei cardini della Lega è proprio quello della libertà, il federalismo è una forma di libertà ulteriore. Siamo ben diversi da questi movimenti di destra”60.
La presunta vicinanza tra Lega Nord ed estrema destra è riscontrabile soprattutto nei giovani attivisti: per Stefano Isaia “il giovane che entra in Lega, e penso anche in Alleanza Nazionale, entra per dire no all’immigrazione clandestina, si ai nostri diritti e poi i valori da difendere sulla cristianità, sul nostro modo di vivere, sulla nostra cultura, sulla lingua piemontese”61.
Alessandro Torrero, responsabile provinciale dei Giovani Padani, dichiara che, attualmente, il movimento conta circa 2.500 componenti a livello federale, cioè in tutto il Nord Italia. Nella provincia di Cuneo esistono nove gruppi che raccolgono giovani dai 14 ai 33 anni. I Giovani Padani si sono affermati, negli ultimi anni, all’interno delle scuole superiori, eleggendo tre loro componenti come rappresentanti studenteschi all’Istituto Tecnico Commerciale di Cuneo. Le battaglie portate avanti dai Giovani Padani sono essenzialmente due: quella contro la “dittatura del relativismo” e quella contro l’ideologia egualitaria, per la quale si ispirano direttamente ad Alain de Benoist, leader della Nuova Destra francese, secondo il quale nessuna razza è superiore, ma ogni razza ha il suo genio particolare: “questo è un po’ il nostro motto”62. Per quanto riguarda il rapporto Forza Nuova – Lega Nord, Torrero afferma che esiste una differenza sostanziale tra i movimenti: “Forza Nuova si richiama agli ideali fascisti, noi abbiamo da sempre criticato il fascismo perché è un sistema di governo molto centralista […] siamo a favore del federalismo, del decentramento e affianchiamo a questo discorsi sulla famiglia e le tradizioni”63.
Si ringrazia Dani per l’elaborazione grafica dei dati e per l’aiuto durante tutta la ricerca.
Intervistatore Fabio Dalmasso
Claudio Dutto è attualmente consigliere regionale del Piemonte e consigliere comunale a Cuneo.
Entra nella Lega Nord nel 1990; in precedenza non aveva tessere politiche. All’interno della Lega Nord è stato segretario della sezione di Cuneo, segretario della circoscrizione di Cuneo e poi, nel 1995, è stato eletto consigliere comunale di Cuneo e consigliere regionale del Piemonte. È quindi stato rieletto, in entrambe le cariche, sino ad oggi. Nelle ultime elezioni regionali ha ottenuto 7.107 preferenze, all’interno del partito è stato il più votato di tutto il Piemonte; in provincia di Cuneo, all’interno della lista, aveva più preferenze da solo che il secondo e il terzo messi assieme: “ce ne volevano tre per superarmi… un grosso riscontro positivo tra i cittadini”.
Sui motivi che l’hanno spinto a entrare nella Lega Nord, Dutto afferma di essere sempre stata una persona “con profonde radici nel Piemonte: parlo molto bene il piemontese perché i miei genitori, nonni etc.. erano tutti cuneesi”; tutto quel filone della valorizzazione della nostra storia e della nostra cultura lo ha sempre affascinato: “ed era questo un settore dimenticato da tutti i partiti di allora: la Lega è stata la prima a riportare in auge questi discorsi”. Dal punto di vista puramente politico, ricorda Dutto, era un periodo di delusione completa verso i partiti esistenti allora e la Lega rappresentava la novità, una rivoluzione nel campo politico. L’insieme di questi due fattori l’ha spinto ad aderire al partito: “la Lega era da una parte la rivalutazione del passato, e dall’altra il cambiamento in termini politici… apparentemente sono due cose opposte, ma in realtà si sommavano”.
Quando è entrato nella Lega Nord si parlava di federalismo e delle tre macroregioni (Nord – Centro – Sud) secondo lo schema di Miglio, l’ideologo di quel tempo della Lega Nord. Nel 1996 la Lega Nord diventa secessionista, in quel periodo, secondo Dutto, non aveva prospettive la posizione federalista della Lega Nord, ma non per problemi interni al partito, ma sulla base dei risultati elettorali (vittoria delle sinistre): “sembrava che non ci fosse più la possibilità di trasformare il paese in un paese federale e allora la Lega aveva fatto il passo verso la secessione, la divisione”. In realtà, ammette Dutto, non c’è stato un enorme seguito in quel periodo e il partito ha avuto delle flessioni elettorali. Si è poi scelto un ritorno al federalismo con la scelta della devolution nel 1999: in questi ultimi 5 anni, secondo Dutto, la Lega Nord ha raggiunto dei grossi traguardi come l’ultima riforma costituzionale “che è stato comunque un grosso passo verso il federalismo che abbiamo sempre voluto”.
La scelta della secessione ha fatto perdere voti alla Lega Nord, ma non immediatamente, bensì in seguito: “sul primo momento, probabilmente, i voti erano anche aumentati, la base era entusiasta, però un conto è la base e un conto sono i cittadini che votano, per Dutto non sempre le due cose vanno nella stessa direzione: mentre la base leghista è più separatista e secessionista, la maggioranza dell’elettorato, anche leghista, è più su posizioni moderate, più sul federalismo: “si tratta di conciliare le due cose”.
La provincia di Cuneo è quasi sempre stata ai livelli delle zone storiche della Lega Nord (Bergamo, Varese, Treviso): è scesa un po’ 4/5 anni fa, mentre ora è in netta ripresa, secondo Dutto e lo dimostrano i risultati delle regionali (poco oltre il 14%). “siamo di nuovo tornati a ottimi livelli, siamo comunque il secondo partito in provincia di Cuneo, considerando che all’interno della Lega ci sono state delle defezioni, purtroppo, molto pesanti e grosse burrasche interne”. Ripercorrendo la storia della Lega, Dutto dice che all’epoca del “ribaltone” (1996) se ne erano andati due deputati, mentre molto più grave fu la defezione di Comino (1999) che portò con sé il senatore Lorenzi, il deputato Barral e molti altri amministratori provinciali e comunali: “quello è stato sicuramente un gravissimo danno per la Lega, da cui stiamo risollevandoci adesso”.
L’uscita di Comino ha portato a una grossa crisi, probabilmente dovuta anche a spaccature interne, ma la gestione di segreteria non funzionava e il partito ha perso consensi: Dutto è l’unico consigliere comunale a Cuneo attualmente perché nelle ultime amministrative il partito ha toccato il suo minimo storico proprio per la guida dei precedenti segretari che “hanno fatto degli errori colossali e i cittadini ci hanno scaricato, non condividendo il nostro tipo di politica”.
Soprattutto in partenza la Lega Nord ha raccolto molti voti degli ex D. C. perché la Lega si occupa dell’agricoltura, del piccolo commercio, dell’artigianato, della piccola industria, ma anche degli operai: “diciamo della gente più semplice, più umile, più popolana e pertanto peschiamo nello stesso bacino di voti dell’ex Democrazia Cristiana”. Non ci sono mai stati passaggi di dirigenti ex D. C. alla Lega, mentre è purtroppo avvenuto il contrario, sono stati quadri leghisti, amministratori e onorevoli eletti nella Lega a passare in altri partiti.
Sulla vicenda Comino, Dutto afferma che “Comino si è autoespulso… è stato espulso dopo essersi presentato a un congresso in totale opposizione con Bossi e con un’arroganza e una presunzione per cui era impossibile non espellerlo…se l’è voluta l’espulsione”. Comino era segretario del Piemonte ed era il vice di Bossi, o comunque una delle persone che, dopo Bossi, contava di più. “La sua intenzione era quella di prendere il posto di Bossi. In un periodo in cui Bossi aveva deciso che si doveva correre da soli nelle amministrative, lui, contro la delibera del federale, aveva comunque fatto le alleanze contando sul fatto che in Piemonte avremmo vinto e avremmo avuto un sacco di amministratori mentre in Lombardia, da soli, avrebbero perso e non avrebbero avuto nessuno. Così pensava di rinforzarsi tanto che nel prossimo congresso avrebbe potuto battere Bossi. Però furono solamente sue illazioni” . In verità si è perso sia in Lombardia che in Piemonte e quindi lui si è trovato spiazzato, solo con un piccolo seguito di fedelissimi che ha portato via dal partito nell’A. P. E.
L’elettorato della Lega Nord, per Dutto, non è molto eterogeneo: ci sono delle classi dove la Lega non pesca: “escluderei dal nostro elettorato tutta la massa dei dipendenti pubblici, degli intellettuali, professori, grandi industriali”; l’elettorato è composto soprattutto da agricoltori, piccoli commercianti, artigiani, piccoli industriali, operai e lavoratori in genere. Dutto avverte una certa distanza dal mondo culturale (intellettuali – professori) perché, a torto, la Lega è stata etichettata come razzista, con una base ignorante, mentre in realtà la lega è la prima a proporre un tipo di cultura che oggi è alternativa (tradizionalista) a quella che è la cultura generale: “in un momento in cui tutti si aprono all’Islam, noi riscopriamo le radici cristiane; in un momento di mondializzazione noi puntiamo su tutti i prodotti locali: la riscoperta dei valori nostri, della nostra cultura, che oggi tutte queste classi di intellettuali non considerano più come valore… il parlare piemontese è un punto di orgoglio per noi, mentre per molti intellettuali dovremmo vergognarci a parlare piemontese e parlare solo più inglese”. Per Dutto il futuro del mondo deve basarsi sulle diverse culture, che costituiscono un tesoro di conoscenze, ma come somma di culture di diverso tipo: “noi non siamo razzisti, nel senso che non riteniamo altri popoli inferiori, anzi, siamo proprio quelli che vogliamo che le culture diverse dalle nostre si salvino, restando nei loro luoghi senza sovrapposizioni”. Dutto dice che la Lega non vuole che la nostra cultura muoia, cosa che, secondo lui, sta succedendo: proprio i grandi teorici, con la globalizzazione, vanno a creare una cultura che non esiste, costruita, artificiosa, falsa, che distruggerebbe tutte le culture locali, che sono un grande valore, e favorirebbe solo pochi grandi colossi industriali distruggendo la vera libertà e la democrazia che è degli individui.
La Lega Nord punta molto sulla famiglia, “che continua ad essere il valore, l’aggregazione base di qualsiasi comunità, mentre i principi della globalizzazione tendono a distruggere la famiglia a favore dello Stato, a sostituirla con funzioni pubbliche che devono essere di sostegno, ma non sostitutive… per non parlare poi di queste pseudo famiglie fra gay che, secondo noi, sono la distruzione della società”.
Tutte le volte che c’è stato un cambiamento di politica la Lega Nord ha perso voti, secondo Dutto: una prima perdita all’epoca della prima alleanza con Berlusconi; una seconda nel momento del “ribaltone”; un’altra con la secessione e ancora con la seconda alleanza con Berlusconi: “tutte le volte, con alti e basi, i consensi sono stati recuperati nel momento successivo… c’è da pensare che ci sia gente che un po’ vota Lega e un po’ non la vota a seconda del momento o che a perdite di quote di elettorato nostro acquisiamo quote di elettorato di altri”.
La riscoperta dei valori cristiani, per Dutto, non entra in contrasto con i riferimenti celtici in quanto questi ultimi sono dovuti unicamente a delle ricerche storiche, ma non hanno nulla di religioso, sono due cose completamente distinte. “I nostri antenati erano celtici, erano galli e avevano una loro civiltà, comparabile con la civiltà romana, ma diversa. Con la vittoria dei romani queste popolazioni sono state distrutte e le civiltà scomparse […] i romani in quell’epoca erano gli occupanti, gli invasori!”.
Dutto ricorda che la posizione della Lega Nord in confronto agli immigrati contempla anche l’aiuto “a casa loro”: molti paesi del Terzo Mondo vivono in condizioni estremamente precarie, in stato di povertà e vedono l’Italia e, in generale, i paesi occidentali, come dei “paesi di cuccagna”, dei paradisi terrestri e credono “di arrivare qui e trovare chissà cosa”. La realtà, dice Dutto, li delude pesantemente perché si trovano emarginati; si deve quindi valutare le capacità di integrazione, ma per prima cosa le capacità di trovare lavoro e quindi “regolare i flussi dell’immigrazione sulla base dei posti di lavoro disponibili in modo che gli immigrati che arrivano abbiano immediatamente un lavoro e, in qualche modo, possano integrarsi”. Aiutandoli nei propri paesi si permetterebbe loro di vivere dignitosamente e ridurre i fenomeni di immigrazione a dei minimi “che non diano problemi”.
La figura di Borghezio, per Dutto, evidenzia i diversi modi di esprimersi all’interno della Lega, ma la base dei ragionamenti, degli ideali e dei programmi è la stessa ed è accettata da tutti: “sicuramente, però, su certi modi di esprimersi i media enfatizzano, creando situazioni molto più esasperate a quelle che sono in realtà… dei discorsi di Borghezio trasmettono solo le frasi più colorite prese da un discorso molto più ampio”.
I vari concetti espressi dalla Lega Nord non sono così vicine alle formazioni di estrema destra italiane: “le radici sono diverse, alla base del discorso della Lega c’è il federalismo, ben diverso dai discorsi dell’estrema destra… uno dei principi, dei cardini della Lega è proprio quella della libertà, il federalismo è una forma di liberà ulteriore. Siamo ben diversi da questi movimenti di estrema destra. Siamo equidistanti sia dall’estrema sinistra che dall’estrema destra, proiettati verso un futuro con i valori del passato: per sapere dove andare, bisogna sapere da dove si arriva”. La vicinanza delle tematiche tra Lega ed estrema destra non viene riscontrata da Dutto, forse su alcuni argomenti, ma su altri no e i giovani che ora entrano in Lega non sono tendenzialmente di destra: “siamo decisamente indipendenti e l’alleanza all’interno del Polo delle Libertà sta stretta a molti. Siamo molto difficili da collocare sull’asse tradizionale destra – sinistra. Credo che non si possa più vedere questo asse come una linea, ma come un triangolo, dove, tra destra e sinistra, la Lega ha un terzo vertice, diverso da tutti due”.
La Chiesa,. Per Dutto, fin dall’inizio è sempre stata contro la Lega, non l’ha mai vista di buon occhio “e direi che è un po’ una cosa che non capisco perché in realtà la Lega non solo non ha mai attaccato i principi cristiani, ma si è sempre atteggiata a difenderli perché fanno parte del nostro tesoro culturale”. La chiesa, per Dutto, ancora oggi è distante dalla Lega: “trovo assurdo che la Chiesa appoggi movimenti che a livello politico portano avanti obiettivi completamente discordanti da quelli che sono i principi della Chiesa: la Chiesa appoggia fortemente la Margherita; la Margherita in Regione [Piemonte N. d. R.[ è in un governo a favore della pillola abortiva, a favore del Gay Pride… tutti punti in contrasto totale con la dottrina cristiana. Siamo all’assurdo per cui la Lega che difende le radici e i principi cristiani è avversata dalla Chiesa e la Chiesa appoggia un partito che sta tradendo questi valori e principi cristiani”. Sul fatto che la Chiesa abbia un senso di solidarietà generale, apparentemente lontana dalle idee leghiste, Dutto dice che sono principi che La Lega ha sempre appoggiato: “evitare l’immigrazione aiutandoli a casa loro, la Chiesa dovrebbe essere esattamente su queste posizioni”.
La sezione è stata commissariata dopo Comino e, molto più recentemente “a causa dello sfascio di una gestione di segreteria disastrosa”. Isaia, l’attuale segretario, ha riportato voti e militanti alla Lega Nord in provincia di Cuneo, “anche come nuovi quadri, c’è stato un forte rinnovamento all’interno… io costituisco un’eccezione: essendo entrato nel 1990 sono il più anziano nella Lega di Cuneo e sono quello che ha ricoperto più incarichi e continuo a ricoprirli”. L’afflusso di molti giovani è un elemento positivo, per Dutto, che ricorda come, all’inizio, la Lega Nord fosse un movimento composto in prevalenza da persone anziane, con poche eccezioni, mentre oggi la forza è quella dei giovani. Il rinnovamento è stato causato anche dalle diverse uscite; sul caso di Guido Rossi (eletto due volte deputato, al sesto posto nelle liste per la Camera nelle elezioni del 9 – 10 aprile 2006) c’è il fattore del rinnovamento, ma anche questioni interne: “se Rossi si fosse comportato in un altro modo nessuno avrebbe messo in forse la sua candidatura, come nessuno ha messo in discussione la mia candidatura l’anno scorso [alle elezioni regionali N. d. R.] però c’erano delle basi profondamente diverse perché Rossi si è scontrato con molti ed è stato dannoso per il movimento creando delle spaccature che si potevano evitare”.
Le zone in cui la Lega Nord è maggiormente forte in provincia di Cuneo sono le vallate, più deboli nell’albese e nelle grandi città, più forti nelle campagne.
Intervista a Stefano Isaia - 13/3/2006
Intervistatore: Fabio Dalmasso
Stefano Isaia, 28 anni, è l’attuale segretario provinciale della Lega Nord; il suo ingresso nella Lega Nord risale alla primavera 1996, all’età di 18 anni come simpatizzante in seguito a un comizio di Bossi in cui “inneggiava slogan a favore del Nord, in difesa del nostro popolo del nostro territorio”. Rimase colpito da questo modo di fare politica e si avvicinò al partito. In precedenza non aveva alcun interesse particolare nella politica
I primi tempi Isaia è un semplice simpatizzante, poi diventa militante e, dopo tre anni, inizia a ricoprire incarichi interni: segretario di sezione a Caraglio – Valle Grana (CN), poi commissario di circoscrizione di Cuneo – Saluzzo, poi coordinatore dei Giovani Padani per due legislature e infine segretario provinciale.
Isaia racconta che il suo ingresso nel partito fu deciso dal puro e semplice ideale, cioè “la battaglia a difesa dei valori del Nord”; secondo lui le battaglie portate avanti dalla Lega sono battaglie molto semplici, basate sui sentori della gente, come “la difesa del nostro popolo, della nostra terra, delle nostre radici, le nostre tradizioni”, valori normali che, stando a Isaia, la gente percepisce.
Isaia ricorda che dopo l’epoca Comino (quindi la prima Lega Nord provinciale, quella con Comino, Mina, Sciandra etc…) la Lega è franata perché la dirigenza si è sciolta o è andata via. Delle persone che potremmo definire “storiche”, presenti cioè sin dalla fondazione cuneese del partito, c’è ancora Mancardi Giovanni (“pietra miliare della Lega in provincia di Cuneo”), Claudio Dutto (consigliere regionale del Piemonte), Guido Rossi (parlamentare) che è stato al centro di una piccola polemica perché candidato in sesta posizione alle elezioni del 9 - 10 aprile 2006: “dopo due legislature ci deve essere anche un avvicendamento all’interno del movimento, puntando su gente giovane e nuova, altrimenti facciamo la fine della D. C.”). Secondo Isaia la politica e specialmente i movimenti come quello leghista devono investire sul nuovo altrimenti si corre il rischio di rimanere ingessati, con conseguenze di “ingessamento” anche sulla politica locale. Isaia dice che la dirigenza nazionale della Lega Nord, e lo stesso Bossi, vuole investire sui giovani perché essi sono il futuro, senza bloccare il movimento su quattro o cinque pilastri. Questo, ammette Isaia, è positivo e il primo risultato si è visto alle elezioni regionali in cui è stato eletto consigliere un trentenne , Allasia Stefano. Per le elezioni nazionali del 9 – 10 aprile 2006 c’è Davico come persona nuova; il segretario nazionale (cioè piemontese), giovanissimo, Roberto Cota (al secondo posto dopo Bossi alla Camera); poi un altro giovanissimo Enrico Montani, 38 anni. Sul Piemonte 1 Allasia Stefano e così via: “tutte novità importanti per la Lega Nord perché segnano un rinnovamento, ideali più freschi e non c’è la possibilità da parte di questi nostri politici nuovi di mettere le mani dove non devono perché se un movimento resta ingessato, oltre alla politica, ci sono anche gli interessi: e questo in Lega, fortunatamente, non avviene”.
La voglia di investire sui giovani, afferma Isaia, sta portando i suoi frutti: dopo un anno e mezzo da segretario inizia a vedere i primi risultati. Dopo la crisi elettorale su Cuneo, la Lega sta rimontando, c’è più facilità a costruire liste elettorali, c’è gente che va in sede per iscriversi e quindi c’è un consenso della gente comune alle idee della Lega Nord: “a differenza di altri movimenti politici che fanno politica nei salotti, noi la facciamo in mezzo alla gente, nelle piazze”.
Alla domanda se l’impressione secondo la quale la Lega Nord venga identificata in tutto e per tutto con Bossi e i voti siano più dovuti alla sua persona che non al movimento, Isaia risponde: “La Lega è Bossi, è lui che l’ha creata, lui è il leader, chiaro che nessuno si mette a discutere le sue decisioni perché lui ha sempre avuto un buon fiuto politico… è un po’ un Nostradamus della Lega perché quello che ha predetto poi è successo”. La Lega, per Isaia, ha condotto battaglie che subito sembravano improponibili: quando parlavano di federalismo la gente li prendeva per pazzi che volevano dividere il paese, mentre oggi si parla tranquillamente di federalismo e di devolution. Stesso discorso per la difesa della famiglia, concetti di base (“la difesa della famiglia: se non la difendiamo noi chi la deve difendere?”) come “la difesa del nostro territorio, della nostra identità, della nostra cultura”. Spostando il discordo sulla “guerra contro l’Islam”, Isaia ammette che l’esposizione della maglietta con le famose vignette da parte del ministro Calderoli ha avuto un impatto negativo nell’immediato, e forse non andava fatto, ma poi il gesto è stata capito e tante persone hanno dato ragione a Calderoli “perché ha esposto un problema che stiamo sottovalutando”. C’è stato consenso, secondo Isaia, per la difesa dei valori “della nostra cristianità, valori che sono poi della società italiana”.
Riguardo l’eventuale contrasto tra i valori cristiani espressi e i riti di sapore pseudo celtico come il dio Po, Isaia risponde che non vede un contrasto così forte; nei riti esiste una componente di folklore, legati comunque a significati profondi: il dio Po è l’acqua che viene elargita sul territorio della pianura Padana, l’acqua è forza e crescita, vita e linfa che scorre lungo tutta la Padania. Per quanto riguardo il “baluardo della cristianità” Isaia dice che la Lega è sempre stata di area cristiana, anche se non sempre ci sono state convergenze con la Chiesa, anche attualmente, perché “la Chiesa dovrebbe imparare a fare il suo dovere e professare le fede e noi fare politica, purtroppo oggi non è così”. Isaia si dichiara molto felice dell’attuale Papa (di cui ha una fotografia nell’ufficio) perché è un Papa conservatore e questo, per lui, è molto importante, “porta il cappellino rosso perché lo riportano antiche regole del papato; è quello che dice si al dialogo però mettiamo anche i nostri paletti”. Sottolinea quindi una vicinanza ai valori della Chiesa, come la famiglia etc…
Per quanto riguarda la componente di estrema destra presente in Lega e che un tempo profetizzava un alleanza tra Europa e mondo islamico contro il potere ebraico e massonico, Isaia ricorda che Maroni proveniva dalla sinistra, Borghezio da “creando un nuovo movimento è chiaro che ognuno avrà le sue posizioni, si è cercato di metterle assieme e creare un altro baluardo, non estremista né a destra né a sinistra, portando avanti le idee popolane che stiamo portando avanti adesso”.
Giovani nella Lega Nord in provincia di Cuneo ce ne sono molti: esiste un ramo del movimento i Giovani Padani appunto, che porta avanti le loro istanze a livello di scuola, diritti della scuola e università, incentivi sulla prima casa, bonus bebé etc…: una politica come la Lega Nord, ma più orientata verso i problemi dei giovani.
L’ipotesi secondo la quale i giovani che attualmente entrano in Lega siano generalmente di destra, una destra meno acculturata della vecchia generazione di destra trova conferma in Isaia che afferma: “Una destra di valori, lo slogan più forte è quello sull’immigrazione: il giovane che entra in Lega, e penso anche in Alleanza Nazionale, entra per dire no all’immigrazione clandestina, si ai nostri diritti e poi i valori da difendere sulla cristianità, sul nostro modo di vivere, sulla nostra cultura, sulla lingua piemontese”. Prosegue dicendo che forse sono un po’ meno preparati, ma afferma di essere orgoglioso che nell’elettorato leghista ci siano anche i contadini, gli artigiani ,commercianti del ceto medio,le prersone che con il loro duro lavoro hanno fatto crescere e reso grande la Padania: “Non siamo la sinistra che punta tutto sulla cultura, ma noi puntiamo tutto sulla gente con valori profondi”. Sui giovani di destra, comunque, ammette che essi sono meno preparati sulle radici culturali e storiche del loro pensiero.
Esiste un’associazione anche per le donne, le Donne Padane che fa parte dell’associazione Donne cuneesi per il futuro: sono circa 20 – 25 persone che partecipano alle varie riunioni che la provincia organizza sui temi quali la tutela della donna, i diritti della donna etc… Sono donne di mezza età al cui capo c’è una ragazza giovane: come i Giovani Padani discutono su i problemi dei giovani, loro lo fanno sulle donne, i problemi e i diritti.
L’andamento elettorale recente della Lega Nord è letto, da Isaia, come un andamento stabile: alle europee del 1994 il partito aveva ottenuto il 14%, mentre alle regionali del 2005 è giunto a quota 14,03%. Isaia ammette che la Lega Nord è franta un po’ nelle provinciali del 2004 (8%) anche perché gli avversari erano la sinistra, da una parte, e Raffaele Costa, dall’altra: Costa per opportunismo porta avanti ideali molto vicini al movimento della Lega Nord e quindi l’elettorato si è spaccato . In tutto questo va anche aggiunto che il candidato alle provinciali della Lega Nord, Guido Brignone, aveva avuto un lutto in famiglia e non ha potuto seguire molto bene la campagna elettorale.
Sulla propaganda Isaia afferma che tutti i manifesti vengono ideati da Bossi in persona, li studia lui, è lui che li imposta, basandosi su valori condivisi. La Lega Nord, afferma Isaia, è nata come un movimento di protesta, ma ora sta portando avanti istanze importanti: il federalismo ora c’è, “anche se per il momento affida alle Regioni poteri in materia di sanità, scuola e polizia locale. Questo è il primo passo, il secondo sarà il federalismo fiscale per gestire le nostre risorse economiche sul territorio, oggi non è possibile: se diamo 10 a Roma, ce ne torna 1”. Una prima promessa, per Isaia, è stata mantenuta.
Il passaggio di richieste dalla secessione la federalismo è letta da Isaia come un “abbiamo chiesto 100 per riportare a casa 10”. Premettendo di essere sempre stato indipendentista e di esserlo fino in fondo, Isaia spiega lo smarrimento della base di fronte al passaggio federalismo – secessione – federalismo ricordando il 1996, le manifestazioni di piazza molto affollate con gente convinta di quello stava facendo e che vedeva nel Sud l’ostacolo, il “marcio” che non ci dava la possibilità di andare avanti, mentre ora la visione è cambiata: “abbiamo chiesto molto ottenere poco, qualcosa lo abbiamo portato a casa”.
Ora La Lega Nord ha scelto l’alleanza con l’ M.P.A. (Movimento per le Autonomie) di Lombardo e apre la Lega anche al Sud: la cosa è giudicata positivamente da Isaia il quale è convinto che il Meridione abbia le carte in regola per sostenere un federalismo fiscale. Nei primi anni il Sud dovrà essere aiutato secondo la formula “federalismo fiscale solidale”, un sostegno economico perché, secondo Isaia, “è la classe politica del Meridione che è sballata, non le persone”.
L’elettorato della Lega Nord è, stando alla parole di Isaia, “la piccola - media impresa, l’artigiano,l’ambulante, il pensionato,il professionista”: Esso è molto vario e Isaia ammette che esistono iscritti alla Cgil che sono all’interno del movimento della Lega Nord. In ogni caso non esiste un “elettore tipo” della Lega Nord, anche perché, dice Isaia, a seconda delle esigenze la Lega può andare con la destra e la sinistra, l’importante è portare a casa il risultato: “stiamo con chi ci dà la possibilità di portare a casa il risultato, destra né : in questo momento vediamo in Berlusconi la persona atta e capace di portare a casa il risultato”.
Il passaggio dagli attacchi Bossi contro Berlusconi all’alleanza con Forza Italia ha creato, per Isaia, problemi nella base per chi non l’ha capito; Isaia ammette di aver capito la cosa, invece, perché la situazione vedeva la Lega Nord in cerca di una collocazione al fianco di qualcuno che desse la possibilità di portare a casa qualcosa. Secondo Isaia parecchia gente della base non ha capito l’alleanza con Berlusconi (“ancora oggi quando vado al mercato di dicono che finche stiamo con Berlusconi non ci votano più”). Per Isaia l’alleanza con Berlusconi è strategica, atta a portare a casa un risultato, tanti non l’hanno capita, ma se la Lega Nord rimanesse sola, come tanti vorrebbero, andrebbe all’opposizione e non otterrebbe nulla; la Lega Nord, quindi, “va a Roma facendo attenzione a non imborghesirsi”. Isaia afferma che “abbiamo perso parte dell’elettorato, ma stiamo portando a casa il federalismo”.
Il rapporto con gli altri partiti, per Isaia, è positivo con quelli della Casa delle Libertà: con Forza Italia c’è un dialogo molto aperto, anche perché c’è un’asse forte a livello governativo e, di conseguenza, anche a livello provinciale. Con la sinistra, dice Isaia, “ci sono i saluti di Natale, sempre con rispetto per l’avversario”.
Il Sindacato Padano, afferma Isaia, esiste ancora: dopo il successo alla Michelin c’è stata una gestione errata . Attualmente la Lega Nord di Cuneo sta cercando un referente per il Sin. Pa. e spera di trovarlo presto.
Isaia è un grande amante della Scozia: ha visitato le zone delle battaglie, la storia di Wallace a difesa del suo territorio (“fino in fondo, costretto a dare la sua vita per la difesa della sua terra”), suona la cornamusa come suo padre. Ogni anno la Lega Nord provinciale organizza delle giornate di studio in cui, oltre a informazioni sulla gestione amministrativa, rivolte ai consiglieri leghisti, è prevista anche una sezione dedicata alla storia, in particolare a quella celtica e ai suoi miti.
Intervista ad Alessandro Torrero - 18/3/2006
Intervistatore: Fabio Dalmasso
Alessandro Torrero, agronomo, ha 27 anni, è segretario della Lega Nord della sezione di Centallo (CN) , suo paese natale, e responsabile provinciale dei Giovani Padani. È stato candidato alle elezioni provinciali del 2004.
Prima di entrare nella Lega Nord non faceva parte di nessun partito. Il suo ingresso nel partito risale al 1995, all’età di 16 anni, come sostenitore dopo “aver assistito a un comizio di Bossi a Cuneo con mio padre”. Il padre è militante della Lega Nord da quasi 20 anni, consigliere comunale a Centallo per 8 anni e attualmente fa parte del direttivo provinciale della Lega Nord.
Diventa militante attivo a 19 – 20 anni e ha fondato, assieme ad altri giovani, il Movimento Giovani Padani in provincia di Cuneo: il movimento esiste da 5 anni. Torrero tiene a precisare che il Movimento Giovani Padani è la Lega Nord, cioè è un movimento all’interno del partito, mentre le Donne Padane sono un’associazione. I Giovani Padani sono il movimento giovanile della Lega Nord e rappresentano la Lega Nord.
Il Movimento Giovani Padani conta circa 2.500 aderenti a livello federale, cioè in tutto il Nord. Quando viene fondato in provincia di Cuneo il Movimento era già affermato in tutto il Nord, mentre nella provincia di Cuneo non aveva ancora una vera e propria struttura. Attualmente i Giovani Padani attivi sono circa 70, suddivisi in diverse gruppi presenti sul territorio; per Statuto il numero minimo per fondare un gruppo è di tre giovani e attualmente esistono nove gruppi sul territorio provinciale. L’età degli appartenenti va dai 14 anni fino a un massimo, stabilito dallo Statuto, di 33 anni, con presenze di alcuni 35enni. Le categorie sociali sono varie (studenti, lavoratori etc…).
Le attività del Movimento Giovani Padani sono di diverso tipo: quando Torrero e altri fondarono il Movimento in provincia di Cuneo cercarono di portare avanti attività diverse. Torrero racconta che in quel periodo “sapevo che c’erano amici con il poster di Bossi in camera”, però non partecipavano molto spesso, anche perché la Lega Nord locale mancava di una struttura giovanile sviluppata. “Alla maggior parte dei giovani, oggi, la politica interessa relativamente” e per cercare di coinvolgere questi giovani all’interno del movimento Torrero e altri cercano di portare avanti attività parallele alla politica: a Centallo, ad esempio, si è organizzata una squadra di pallavolo della Lega Nord e la si è fatta partecipare a un torneo estivo. Da lì si è formato un piccolo gruppo di giovani che ha iniziato a incontrarsi all’interno della sezione locale del partito per organizzare le prime iniziative e”da lì è partito tutto il discorso del nostro movimento giovani”.
Un punto forte del Movimento, afferma Torreo, è che anche chi non ha le capacità culturali e politiche per andare avanti, può, comunque, sviluppare i propri interessi, siano essi sportivi o altro: “Noi intendiamo la politica come momento di aggregazione, ci chiamiamo Movimento dei Giovani Padani, ma ci chiamiamo anche Comunità dei Giovani Padani, comunità intesa come un insieme di individui che puntano ad avere un medesimo ideale, che è la Padania”.
Il Movimento si è affermato nelle scuole cuneesi nel corso degli ultimi anni: alle ultime elezioni il Movimento ha ottenuto tre rappresentanti su quattro all’istituto Bonelli di Cuneo (ragioneria): ovviamente sono liste studentesche “civiche”, che non si chiamano direttamente Giovani Padani, ma formate, comunque, da gente che fa parte del Movimento Giovani Padani. In questa scuola i Giovani Padani hanno dato vita alla Green Card (già presente in Lombardia), una tessera dal costo di un euro che dà diritto a sconti in alcuni negozi. Il ricavato va alla scuola per interventi di tipo strutturale. Al momento ne hanno vendute circa 800. L’iniziativa non è direttamente politica, ma comunque di propaganda.
Torrero afferma che attualmente il Movimento Giovani Padani si sta occupando di combattere due concetti culturali che “secondo noi la sinistra ha portato avanti negli ultimi 40 anni: da un lato la dittatura del relativismo”, cioè il concetto che trasforma la realtà e la rende relativa: in questo contesto, spiega Torrero, crescono personaggi che propongano di eliminare i crocefissi dalle scuole, l’eliminazione della famiglia tradizionale, l’idea di affidare “i nostri bambini alle coppie omosessuali” etc… tutto questo lo si vede anche nella crisi della famiglia tradizionale che c’è oggi, dice Torrero. Dall’altro lato il Movimento Giovani Padani si schiera contro l’ideologia egualitaria “che, secondo noi, mira a trasformare la realtà e in questo contesto non esistono più popoli con le loro tradizioni, la loro cultura, le loro lingue minoritarie etc… siccome noi leggiamo anche molto testi filosofici, come diceva … l’ideologia egualitaria è un’ideologia che da sempre ha disprezzato la sociologia della realtà, quindi l’uomo per quel che è, per quel che è stato e per quel che sarà. Considera l’uomo come un atomo asessuato, mentre l’uomo che vediamo noi è un uomo romantico, con dei sentimenti, legato alle tradizioni, alla propria cultura”. Inoltre il Movimento si batte anche per far capire agli studenti che, a differenza di quanto afferma la sinistra, noi non siamo razzisti: “anche qui c’è un po’ di confusione: bisogna distinguere il concetto di razzista da quello di xenofobo”. Per Torrero il razzista è colui che crede che la propria razza sia superiore alle altre, lo xenofobo invece ha paura dello straniero, della sua possibile contaminazione. Torrero dice che i Giovani Padani, su questo argomento, ripetono sempre una frase famosa Alain de Benoist che dice che nessuna razza è superiore, ma ogni razza ha il suo genio particolare, “questo è un po’ il nostro motto”, spiega Torrero: “siamo per difendere le nostre tradizioni e non farci imporre la cultura di altri a casa nostra, però siamo anche per il rispetto delle tradizioni africane, americane etc… ogni popolo ha il suo genio particolare, secondo noi”.
All’osservazione dell’intervistatore secondo cui i discorsi dei Giovani Padani sono molto simili (negli obiettivi e nel linguaggio) a quelli dei giovani di Forza Nuova, Torrero risponde che tra le due formazioni non esiste assolutamente una vicinanza: “Forza Nuova si richiama agli ideali fascisti, noi abbiamo da sempre criticato il fascismo perché è un sistema di governo molto centralista, che tende ad accentrare tutto il potere in un'unica persona. Noi invece siamo un movimento indipendentista, siamo a favore del federalismo, del decentramento e affianchiamo a questo discorsi sulla famiglia e le tradizioni”. Gli si fa notare l’impressione secondo la quale molto giovani che attualmente entrano nella Lega Nord siano tendenzialmente di destra, soprattutto su certi valori: “no, la Lega è un movimento indipendentista, che richiama al suo interno valori diversi, qualcuno più di sinistra altri più di destra, quindi qualcuno ha aderito o aderisce alla Lega Nord perché ha ideali di sinistra o di destra”. Per ideali di sinistra Torrero si riferisce al sociale, alla lotta contro il lavoro precario che toglie le certezze al giovane, da quella lavorativa a quelle, di conseguenza, sulla famiglia etc… “Bisogna però dire che la sinistra battaglia tanto sul precariato, quando il precariato è stato introdotto proprio dalla sinistra: pacchetto Treu del 1998… il primo co.co.co. è stato firmato dalla Regione Toscana nel 1998”. Torrero dice anche che con i tempi che corrono portare avanti una politica contro il precariato non è semplice, però i Giovani Padani, “siccome siamo il futuro della Lega, abbiamo la presunzione di poter portare avanti questi concetti”.
Per quanto riguarda l’immigrazione, Torrero afferma che i Giovani Padani, come la Lega Nord, sono favorevoli all’immigrazione a patto che siano rispettate determinate caratteristiche: un lavoro, una casa e che sia, in sostanza, in regola: “anche perché se vengono qua un certo numero di immigrati che non hanno lavoro, uno deve chiedersi come facciano a vivere. Quindi poi li si trova, magari, a Torino, fuori dalla stazione di Porta Nuova a spacciare droga, o davanti alle scuole etc… noi diciamo: ben accetto chiunque, purché sia in regola”.
Sull’Islam Torrero afferma che la cultura islamica non può pretendere di venire in Europa e imporre le proprie idee e la propria religione, “perché, comunque, la nostra è una cultura occidentale, da sempre basata sulla democrazia, sui valori cattolici… noi non andiamo a disprezzare l’islam come religione, l’Islam moderato, noi andiamo a disprezzare chi usa l’Islam come un pretesto per portare avanti certe battaglie politiche, quindi contro la cultura della morte del fondamentalismo islamico, perché c’è anche un Islam moderato che non tollera queste cose”. Torrero dice che non concepiscono il fatto che una certa parte dell’Islam pretenda di venire ad imporre la propria cultura e religione del nostro paese, che ha una tradizione millenaria cattolica e cristiana. Contro il fondamentalismo islamico, ma non contro l’Islam moderato.
Torrero afferma che la religione è una cosa, la politica un’altra: è sbagliato mischiare le due cose; la politica dovrebbe essere considerata come una cosa laica però allo stesso tempo, pensa che certi discorsi, come l’eliminazione dei crocefissi “dai nostri luoghi pubblici e dalle nostre scuole” sia un discorso sbagliato perché significherebbe eliminare il simbolo della più grande tradizione che la società occidentale abbia.
Secondo Torrero l’esaltazione dell’aspetto religioso non entra in contrasto con tutta la mitologia celtica della Lega Nord: “Ogni popolo ha le sue leggende etc… ed è anche una forma per distinguersi dagli altri: la bandiera del Sole delle Alpi, che richiama i popoli alpini, la vedo come una leggenda che contraddistingue il nostro popolo dagli altri”. Sul concetto di popolo Torrero afferma che esso è cambiato: non esistono più le nazioni, ma si passa verso un Europa delle regioni, più locale e meno nazionale entro il quale collocare la macroregione padana.
I riferimenti culturali, ad esempio in campo musicale, sono la musica dialettale con Van De Sfroos e tutti quelli che riguardano il locale. Cita ad esempio il Piemont Rock Festival, giunto quest’anno alla terza edizione (la prima ad Asti, la seconda ad Alessandria). Anche l’organizzazioni di concorsi come Miss Monregalese sono strumenti per far capire che “noi portiamo avanti il locale”.
I Giovani Padani, dichiara Torrero, sono contro la globalizzazione che mira a distruggere le tradizioni e la cultura dei popoli, però sono anche convinti che la globalizzazione non si combatta spaccando le vetrine, picchiando con i bastoni, come a Milano o a Genova: “per noi la globalizzazione di combatte amando il proprio territorio, valorizzandone gli aspetti peculiari, i prodotti tipici, la musica e cultura locale e quindi tutte le nostre iniziative, anche nel campo culturale, vanno in quella direzione”.
I rapporti con gli altri movimenti politici giovanili sono basati sul rispetto reciproco, ma “corriamo da soli sempre anche perché ho la presunzione di dire che oggi, in provincia, l’unico movimento giovanile strutturato sia il nostro, che ha più attività ed è molto radicato sul territorio, molti altri invece sono più di facciata che altro, noi abbiamo la sostanza: radicamento e gente attiva”.
Come il partito dichiara di potersi alleare con chiunque pur di ottenere il risultato finale, così i Giovani Padani sono pronto ad allearsi con altre forze politiche nelle scuole per ottenere, ad esempio, l’insegnamento del piemontese.
Esiste anche il movimento universitario padano, molto forte in Lombardia.
Intervista a Domenico Comino - 15/11/2005
Intervistatore: Fabio Dalmasso
L’entrata in politica di Domenico Comino (insegnante) risale al 1985 quando diventa consigliere comunale di opposizione del suo paese natale, Morozzo (CN), nelle fila di una lista civica, senza una precisa connotazione politica. La maggioranza di quel consiglio comunale era una lista civica definibile “democristiana – agraria”, tipica delle piccole realtà locali della provincia di Cuneo.
Secondo Comino se si ha il controllo di dieci famiglie patriarcali in un comune è facile vincere le elezioni, secondo quello che lui definisce uno schema classico. Stando alle sue parole la responsabilità storica della Dc, del mancato progresso e della mancata aggregazione sociale è dovuta al non aver posto limitazioni al numero di abitanti per essere riconosciuto comune (oggi esistono comuni con 30 abitanti, una situazione senza senso secondo Comino).
Nel 1989, su invito di alcune persone, soprattutto del dott. Borsarelli (capo del personale della Michelin di Cuneo e presidente Associazione Nazionale Alpini di Mondovì) che era anche un convinto autonomista. Aveva conosciuto Comino e aveva affidato a lui l’organizzazione della Protezione Civile insieme alle sezioni Ana; in seguito coinvolse Comino nel movimento autonomista facendogli conoscere Gipo Farassino: tutto questo avviene nell’autunno del 1989 e aderisce al movimento Piemont Autonomista..
Candidato alle provinciali del 1990 nelle fila della Lega Lombarda (il passaggio ufficiale da Lega Lombarda a Lega Nord avvenne nel 1991 al congresso straordinario di Pieve Emanuele; la denominazione iniziale Lega Lombarda non implicava una prevalenza del gruppo lombardo all’interno del partito, ma era una semplice questione di opportunità elettorale: “il fatto di avere un deputato e un senatore ci dava delle possibilità come la presentazione del simbolo, riconoscimento politico etc…”), Comino non viene eletto, secondo escluso. La Lega raggiunge il 4% circa. Nel 1992, alle elezioni politiche, viene eletto deputato, rieletto nel 1994 ed entra nel Governo (primo governo Berlusconi) come Ministro per il coordinamento delle politiche comunitarie. Nel dicembre del 1994 termina il primo Governo Berlusconi. Nel 1996 viene rieletto deputato e nel 2001 conclude la sua attività politica parlamentare e ritorna a svolgere la professione di insegnante.
L’uscita dalla politica è dovuta alla sua espulsione dal partito in quanto, secondo Comino, ha “attentato all’integrità politica del segretario”. Al momento della sua uscita dalla Lega Nord fonda, con altri, l’A.P.E. che, però, non avendo ottenuti risultati, non ha avuto futuro.
Interrogato sui motivi della scissione Lega Nord – A.P.E., Comino risponde: “Ce lo diceva la gente”. Secondo Comino Bossi (segretario federale della Lega Nord), “preso da delirio di onnipotenza”, predicava la secessione su tutte le piazze ottenendo, però, risultati contrari alle aspettative. La gente locale non voleva sentire parlare di secessione o cose simili: desiderava un impegno più pragmatico, più diretto alla soluzione dei problemi, come, ad esempio il problema della viabilità in provincia di Cuneo. Comino ricorda le resistenze del Ministro dell’Ambiente per ottenere dal Consiglio dei Ministri il via libera alla Cuneo - Asti. Questo nel 1994. All’epoca inoltre il Governo finanziava i Giochi del Mediterraneo a Bari e Comino si oppose chiedendo che prima di finanziare le attività ludico – sportive si intervenisse sulla Cuneo – Asti.
Secondo Comino il non schierarsi della Lega rientrava in un progetto per far vincere la sinistra: ricorda un colloquio tra Bossi e D’Alema (allora Presidente del Consiglio), al quale parteciparono Comino (capogruppo alla Camera della Lega) e Mussi (capogruppo alla Camera dei DS), con D’Alema che perorava l’ingresso della Lega nel Governo per raggiungere la maggioranza e al termine del colloquio disse a Bossi: “Guarda che la gente come te o governa o va in galera”. Secondo Comino queste parole potevano rappresentare una sorta di minaccia per le dichiarazioni di Bossi sull’attentato all’unità nazionale e in riferimento ai processi in corso a Verona (già nel 1996 la Lega poteva stare fuori dal Governo e favorire comunque la sinistra).
Attualmente il movimento dell’A.P.E. (situati in Piemonte, Liguria, Veneto, Trentino, Friuli, Lombardia) è in una situazione di stallo: gli aderenti credono che il momento non è ottimale per le istanze autonomiste visto che c’è un’internazionalizzazione del problemi. Più i poteri si spostano verso l’alto (Onu, Unione Europea etc…), ci deve essere un meccanismo compensativo verso il basso, secondo una logica per la quale i livelli di governo piccoli funzionano meglio di quelli grandi (l’azione di governo si apprezza meglio se il potere è vicino al cittadino).
Attivismo della Lega in provincia di Cuneo era molto forte, almeno sulla carta: avevano, tra il 1994 e il 1996, circa 40 sedi (dubbi di Comino sull’effettività attività di tutte le sezioni): in provincia di Cuneo circa 2.500 iscritti alla Lega Nord. C’è un tessuto socio – economico analogo tra le province di Cuneo – Brescia – Bergamo: questo può spiegare successo della Lega in certe province. Però, per la provincia di Cuneo, il risultato fu ottenuto grazie alla sinergia di forse diverse, soprattutto nel 1996, con oltre 30% di voti. Questo episodio infastidì molto la dirigenza lombarda perché quell’anno la provincia di Cuneo ottenne un risultato maggiore della provincia di Varese, il che è significativo (Varese nucleo storico). Già nelle provinciali del 1990 con oltre il 4% a Cuneo, quando la media era l’1-2%, destò stupore. In provincia di Cuneo la piemontesità come valore è più avvertita rispetto ad altre province, e poi perché c’è un tessuto economico di un certo tipo, fatta di famiglie e di imprese che si identificano con le famiglie. Imprese che vedono nella famiglia la continuità dell’impresa. Una struttura che in piccolo ricorda la situazione di Monaco della Baviera.
Proposta politica dell’A.P.E.: un’assemblea costituente per la riforma federale dello Stato: tale assemblea doveva legare i partiti a un progetto di riforma perché chi si presenta all’assemblea deve depositare, assieme alla lista, anche il progetto di costituzione riformata. In questo modo tutti avrebbero avuto capito ciò che andavano a votare: un obbligo etico di ogni forza politica nei confronti dell’elettorato. L’attuale riforma federale, per Comino, ottenuta a colpi di maggioranza, è del tutto uguale alla proposta delle sinistra fatta alla fine della scorsa legislatura per cercare di rubare consenso sul terreno delle autonomie.
Per l’A.P.E. deve esserci un principio di tipo anglosassone; non ci deve essere tassazione senza rappresentanza e non ci deve essere rappresentanza se non c’è tassazione.
Al massimo tre livelli di governo: agli estremi il comune e lo stato federale o confederale, in mezzo un’entità simile alle regioni – province. Ogni livello di governo deve avere competenze esclusive e non concorrenti con gli altri livelli. Ogni livello di governo, inoltre, deve poter contare su risorse certe e proprie, non derivate dall’alto (“lo Stato che dà fa anche in fretta a togliere”).
La collocazione ideologica dell’A.P.E. non è di nessuna importanza: secondo Comino oggi la destra e la sinistra sono oggi irrilevanti e non così distinguibili. L’importante, per Comino, è far funzionare lo Stato che ha un costo enorme e bisognerebbe informare la gente sul costo reale, in termini di denaro, della democrazie nel nostro paese (Comino attacca il Presidente della Repubblica per l’accumulo di pensioni, per le sue parole sull’inviolabilità dell’unità nazionale, definite “fandonie che va a dire in giro insieme alla moglie”, senza però mai dire a quanto ammonta il bilancio del Quirinale). Sottolinea che Ciampi non ottenne il suo voto nell’elezione a Presidente della Repubblica.
Caso Sin.Pa. alla Michelin: per Comino è stato un caso più unico che raro perché si è riusciti a coinvolgere tre/quattro personalità trainanti, con appeal, che hanno condizionato il voto. Un successo di persone, non di programma (“ma che programma? Non c’era il programma del Sin.Pa.”): il Sin.Pa. fu un esperimento voluto da Bossi per coinvolgere i lavoratori dipendenti in un progetto di sindacato alternativo alla triplice cercando di ottenere un posto nella negoziazione sindacale (critica di Comino per rapporto tra Sin.Pa. e Ministro del Lavoro Maroni). Alla Michelin, finita l’esperienza di quelle poche persone, che probabilmente non hanno avuto quello che desideravano, il Sindacato Padano è finito. Era essenzialmente un voto di protesta, sulla scia di quello dato alla Lega Nord.
Secondo Comino la protesta continua della Lega non portava da nessuna parte: chiese a Bossi dove stesse andando la Lega, ipotizzò un’operazione fatta per salvare Bossi dai processi e consentire alla sinistra di vincere e governare, come poi avvenne nel 1996 (secondo Comino “la cosa potrebbe anche succedere nuovamente”). Quando Comino era in Parlamento Bossi ebbe circa 15 richieste di autorizzazione di procedere contro di lui, ma la sinistra non si presentò mai alle votazioni o per far mancare il numero legale o per bocciare le autorizzazioni a procedere.
I primi messaggi della Lega Nord (esempio sul debito pubblico) erano, secondo Comino, “populismo puro”, necessario per cercare un cambiamento successivo, per incunearsi in un sistema di forze politiche bloccato che non permetteva la nascita di nuove formazioni. Stando alle parole di Comino Mani Pulite (autorizzazione a procedere nei confronti di Craxi, ottobre 1992) nacque in seguito al successo della Lega Nord (aprile 1992) e non viceversa. Comino sottolinea poi il fatto che Mani Pulite fu un’operazione condotta unicamente al Nord e non nel Sud.
Crollo Dc ha favorito il successo della Lega? Voti Dc sono passati alla Lega Nord? Non essenzialmente secondo Comino: il logorio della Dc doveva essere messo in conto dai democristiani. In ogni caso c’è una vicinanza di valori tra quelli della Lega e quelli del Partito Popolare di don Sturzo: valori come l’autonomismo della prima maniera.
La Coldiretti stando a Comino non fu vicina alla Lega, anzi lui stesso voleva fondare una Coldiretti leghista: secondo Comino c’è un fallimento sostanziale della Coldiretti che, da un’intuizione iniziale nobile, è finita per essere un’occasione di prebende, aiuti (come i Piani Verdi) che continuano con l’Unione Europea. Quando l’UE capisce che certe politiche agricole di sostegno al reddito non sono più sostenibili, fa un passo indietro e viene a mancare quel flusso continuo di denaro nel settore. Di conseguenza viene meno la fiducia nel sindacato e avviene il riversamento nel voto di protesta per una forza che promette agevolazioni e privilegi.
Nella Lega Nord non sono entrati ex Dc perché lo statuto del partito lo vietava, mentre molti della Lega sono poi passati all’Udc e partiti simili di centro.
L’appoggio della Chiesa alla Lega non è stato riscontrato da Comino, che però ricorda colloqui cordiali con molti parroci, senza però che questi si schierassero. Comino parlò con bassi e alti prelati e rivelò la preoccupazione “dell’invasione “ avvertita nella Chiesa (che vorrebbe un’immigrazione selettiva, fatta di cristiani). Chiesa e Lega avevano funzionalità diverse, ma battaglia simile, come lo fu quando la Lega fece fallire il progetto di fecondazione assistita. Comino racconta di contatti con esponenti medio alti del Vaticano che peroravano un loro intervento per bloccare la legge (divenne relatore della legge Cè, della Lega, in sostituzione della deputata di Rifondazione Comunista, Bolognesi). C’è vicinanza di valori su alcuni aspetti, come la tutela della famiglia, della natalità, su un’immigrazione controllata (selettiva). Il problema, dice Comino, è capire come funzionano i modelli multietnici: paesi molto più progrediti nelle politiche di accoglienza e dell’integrazione dell’Italia hanno problemi molto più gravi in termini di tutela dei diritti umani.
Il futuro della Lega per Comino non è troppo roseo: perde consensi. I problemi sanitari di Bossi hanno fatto tenere i voti della Lega per una sorta di “pietismo elettorale”, che si era manifestato già in altre occasioni (vedi PCI – Berlinguer).
Secondo Comino , quando la gente si renderà conto che questa devoluzione farà aumentare le addizionali sulle persone fisiche, probabilmente si ricrederà anche sui voti della Lega, ma ci vorrà un paio di anni.
Intervista ad Alberto Sciandra - 10/12/2005
Intervistatore: Fabio Dalmasso
Alberto Sciandra è attualmente dipendente della Ferrero (Alba) e si occupa della pianificazione delle produzioni dello stabilimento tedesco dell’industria dolciaria albese. É stato uno dei rappresentanti più importanti della Lega Nord a livello provinciale (segretario provinciale dal 1992 al 1998 ), assumendo incarichi amministrativi per uscire poi dalla Lega seguendo Domenico Comino.
Sciandra dichiara di essersi sempre interessato di politica, leggendo e informandosi sull’argomento. Culturalmente afferma di provenire dalla destra ultraradicale: un po’ le suggestioni della Nouvelle Droite francese, un po’ il tradizionalismo alla Julius Evola. Sciandra (il cui padre fu partigiano combattente, ferito in combattimento) dichiara che l’esilio dei maschi di casa Savoia fosse una cosa senza senso e trova fastidioso l’antifascismo di maniera: negli anni ’70 se una persona non la pensava come una certa elite di sinistra e, a livello giovanile, di estrema sinistra, veniva subito etichettato come fascista e Sciandra giudica lo schierarsi a destra come reazione a tutto questo. Si venne così a creare una dicotomia che risultò utile a chi stava tenendo le redini del gioco perché semplificava, erroneamente, tutto.
Dalla cultura della destra ultraradicale (Evola etc…) Sciandra fa discendere la sua scelta di scegliere la “via del guerriero” in contrapposizione alla “via del sacerdote” (le due vie dell’uomo previste dal pensiero evoliano), la scelta, cioè, di fare politica.
Sciandra, Guido Rossi (che teorizzava l’alleanza con il mondo islamico, con l’Iran contro il mondialismo e la globalizzazione “che la destra radicale ha scoperto vent’anni prima della sinistra”) e il gruppo di Saluzzo si conoscevano perché avevano frequentato ambienti legati ad Orion, rivista della destra radicale di Maurizio Morelli (ex guardia del corpo di Almirante) in carcere a Saluzzo per l’uccisione di un poliziotto. A Saluzzo Morelli incontrò gente come Freda e altri che lo educarono e divenne una sorta di “guru” per giovani come Sciandra e Rossi. La loro voglia di agire trovò un riscontro nella Lega, che era un movimento che riscopriva le tradizioni, aveva una venatura razzista e caratteristiche che attrassero questi giovani.
Sciandra racconta come da studente universitario a Torino presso il politecnico, frequentasse il gruppo storico torinese Pietro Micca (figuranti con divise dell’esercito piemontese del 1705 – 1706, assedio di Torino, che fanno rievocazioni storiche). All’interno di questo gruppo c’era un ragazzo che faceva parte del movimento Piemont Autonomista di Gipo Farassino. Altro gruppo simile presente allora era il Piemont, di Roberto Gremmo che, secondo Sciandra, riassumeva l’aspetto più vecchio e demagogico. Sciandra entra in Piemont Autonomista e si attiva per la campagna elettorale delle elezioni europee del 1989, quando, su idea di Bossi, si creò un cartello dei movimenti autonomisti chiamato Alleanza Nord (di cui non fece parte il movimento di Gremmo). I risultati europei decretarono un buon successo del cartello, soprattutto in Lombardia (meno in Piemonte) per cui nacque l’idea di creare un movimento in tutto il Nord Italia. Gipo Farassino andò in provincia di Cuneo e contattò attraverso un imprenditore ex socialista in pensione (Cesare Ansaldi) un dirigente della Michelin e responsabile Associazione Nazionale Alpini, Borsarelli; Stefano Mina, commerciante cuneese e Federico Meinardi, dentista di Mondovì. Questo fu il nucleo iniziale della Lega Nord a Cuneo più Alberto Sciandra, che però viveva a Torino (per motivi di studio).
Frequentando la prima Lega a Torino Sciandra incontrò Mario Borghezio, ex Ordine Nuovo, persona con grande cultura politica e anche esoterica, un personaggio molto particolare che ha toccato il fondo, secondo Sciandra, con quella sorta di spedizione punitiva ai Murazzi.
Nel 1990 viene fondata la Lega Nord; dal 1990 al 1998 Sciandra fa parte del Consiglio Nazionale della Lega Nord (cioè quello piemontese; quello federale è a Milano) e viene a contatto con la classe dirigente della Lega Nord poco preparata (secondo Sciandra, “non leggeva i giornali” ). La sua cultura politica, la sua capacità dialettica, il suo background della destra ultraradicale (quindi anticonformista), la sua carica romantica gli permisero di fare breccia all’interno del partito.
Sciandra si candidò alle elezioni comunali di Cuneo nel 1990 mentre Rossi a quelle di Saluzzo; Sciandra e Barba Toni vennero eletti a Cuneo, Guido Rossi e Marco Littera (anche lui dalla destra) a Saluzzo.
Nel 1992 Domenico Comino viene eletto al Parlamento (16.000 voti, il terzo più votato dopo Gipo Farassino e Umberto Bossi).
Nel 1995 successo nelle amministrazioni, nel 1996 successo elettorale ma, a livello nazionale, non politico: nel governo Prodi, Bossi credette di “fare l’ago della bilancia” , ma non ci riuscì e dovette pensare a una via di uscita: da qui, secondo Sciandra, nacque l’idea dell’indipendentismo, il padanismo che prima non era presente.
Nel 1996 la Lega Nord raggiunge, in provincia di Cuneo, il 32% di consensi alle elezioni politiche, con punte del 44%; la provincia di Asti, che presenta caratteristiche simili a quelle delle Langhe, fece molto meno. Sciandra è convinto che quel risultato fu raggiunto grazie alla presenza attiva dei militanti sul territorio, all’apertura del movimento (cercando di agganciare la borghesia, che però non si fece agganciare) e alla presenza di leghisti nella rete del sottogoverno (vero centro di potere, diversamente dai consigli comunali, provinciali etc…) che prevede delle alleanze. Nel 1995 la Lega era in maggioranza nei comuni d Cuneo (alleanza Lega – sinistra), Mondovì (Lega – sinistra – popolari, in funzione anti-Costa) e Alba (alleanza Lega – ex Dc contro la sinistra) e nel governo provinciale (Lega - ex Dc contro tutti). In quel momento la Lega era l’unica forza presente su buona parte della provincia, con un buon appoggio a Roma (Comino – Barral – Brignone – Lorenzi) che godono di un buon retroterra a livello comunale – provinciale.
Secondo Sciandra quando la Lega “iniziò a giocare” con il dio Po, le adunate, gli alzabandiera, l’uso non più di Alberto da Giussano ma del sole delle Alpi, a Milano esisteva qualcuno, proveniente dalla destra radicale, che conosceva molto bene l’argomento, che è riuscito a influenzare Bossi e la direzione. Un richiamo, quindi, ai meccanismi e ai simboli. La nascita delle Guardie Padane, in seguito, venne vista da Sciandra come cosa interessante, ma anche come evento pericoloso, un movimento nel movimento, “le SA della situazione”. Sciandra fu uno degli organizzatori della prima manifestazione della Lega Nord alla sorgente del Po nel 1996: autore dello striscione “Dio lo vuole”. Secondo Sciandra l’uso dei simboli è uno strumento molto utile per arrivare alla gente. “Abbiamo giocato molto agli apprendisti stregoni e che nessuno si sia fatto male è stato davvero un caso” afferma Sciandra: tutta la propaganda della Lega Nord sembrava pilotata dall’alto da qualcuno che sperava si creasse una frangia armata “che poi desse modo di contrattare”.
Nel Veneto, intanto, venne espulsa la dirigenza: prima Rocchetta e poi Comencini, un gesto di mancanza di democrazia interna della Lega Nord tesa ad avvallare una classe dirigente arroccata alle posizioni di potere. Per Sciandra le espulsioni non furono attuate per preservare la purezza della linea politica, visto che questa cambiava e cambia continuamente. Le motivazioni addotte erano quelle di riformismo, tradimento etc…
Sciandra in quel periodo avverte una lontananza da parte della base leghista, proprio nel momento in cui il partito è al massimo del suo potere: secondo lui questo processo era iniziato con le camicie verdi “che non rispondevano a noi, ma a qualcuno a Milano”. Inoltre la sua idea di occupare i posti di potere (banche, istituzioni etc…) deve scontrarsi con l’idea del militante della Lega Nord che, al di là delle sue capacità, desidera anche lui occupare un posto di potere: in pratica, “avevamo una massa di militanti che non voleva cambiare le cose, ma voleva cambiare gli uomini”, per raggiungere i posti (“la base voleva qualcosa per lei, non per la società”). Vi era poi un progetto lombardo teso a tagliare i leader locali: questo progetto non venne capito dalla base. Sciandra dice che lui stesso, con Comino, venne attaccato dalla dirigenza leghista in nome dell’ortodossia. Sciandra dice anche che fu lo stesso Bossi ad essere invidioso di Comino e ad attivarsi per escluderlo (a riprova di ciò fa notare che tutti i ministri attuali della Lega Nord sono di Varese o Bergamo, il nucleo che gravitava attorno a Bossi).
Sciandra ricorda che la Lega Nord entrò nelle banche per evitare che i suoi militanti venissero ricattati e per cambiare il modo di un mondo gestito da un gruppo di potere trasversale che dirigeva il mondo bancario.
Il militante medio della Lega Nord, per Sciandra, era contro le tasse e voleva il cambiamento: tanta gente, anche non militante, che vedeva nella Lega Nord coloro i quali volevano cambiare le cose. Sciandra afferma che a un certo punto egli decise di abbandonare gli obiettivi politici troppo lontani, ma attivarsi per fare realmente qualcosa per chi seguiva la Lega Nord, spiegando alla gente quale fosse la posizione della Lega Nord sui problemi locali, cosa che, secondo Sciandra, gli altri partiti non facevano.
La preparazione politica della base era praticamente nulla; nel 1998 – 1999 la Lega Nord esprimeva un gruppo dirigente in provincia di Cuneo che, per analisi politica, era superiore alla classe politica attuale, anche se forse mancò di realismo. La spinta rivoluzionaria, per Sciandra, c’è stata all’inizio, quando le cose andavano molto male; quando poi la situazione si è ripresa tutto cambiò.
All’inizio la Lega Nord secondo Sciandra rappresentava una speranza e godeva di un appoggio popolare, avvertito da chi era all’interno del partito e che lo spingeva ad andare avanti e lottare per la loro idea (“in sintonia con il popolo”), mentre poi degenerò.
Le prime uscite erano slogan, indirizzati a una militanza razzista e che sentiva quello che voleva sentirsi dire.
Parlare di scontro di civiltà, per Sciandra, è molto pericoloso e la Lega lo fa perché in questo modo prende molti voti tra la gente media.
Il successo della Lega Nord avviene anche grazie a un passaggio di voti dalla ex D. C. alla Lega Nord: per Sciandra il voto D. C. garantiva sicurezza; quando la D. C. crolla la gente vuole comunque la sicurezza e il portare tutto a livello locale (“la piccola patria”) è un messaggio di sicurezza. Secondo Sciandra pochissimi esponenti della D. C. passarono tra le file della Lega Nord.
Il ruolo della Chiesa, in tutto questo, ha avuto un ruolo marginale: inizialmente Bossi attaccava alcuni vescovi; Borghezio parlava di neopaganesimo, mentre ora “giocano a fare i cattolici – tradizionalisti”. La base della Lega Nord ha i valori cristiani, ma non è una militanza vera e propria.
Sciandra dichiara di subire il fascino delle tecnocrazie: secondo lui su alcune decisioni non si dovrebbe chiedere alla gente se sia d’accordo o meno, si deve convincerle senza chiedere di decidere. Convinto che l’Europa sia l’unica via da seguire e che il federalismo sia la soluzione ai problemi italiani. Concetto di Glocal: global + local: lo stato nazionale non è più in grado di risolvere i problemi, deve delegare a stati sopranazionali (Europa), ma con lo spostamento lontano di alcuni poteri deve aumentare la responsabilità e l’autonomia locale. Altrimenti tutto si blocca.
Il successo del Sin.Pa. alla Michelin e in alcune altre realtà viene definito da Sciandra come un boom che poi, però, alle successive Rsu scompariva “perché era gente impreparata a tutto”. Sciandra dice che lui credeva nel discorso sindacale all’interno della Lega Nord, così come Bossi: secondo loro un grande partito deve avere una presenza radicata nella “società vera” e le organizzazioni sindacali “sono società vere” perché sono gli interlocutori ai quali si rivolge il lavoratore. Parallelo a questo discorso c’è quello delle associazioni di categoria, nelle quali la Lega Nord, secondo Sciandra, era molto presente, non tanto come tesserati ma come vicinanza politica, soprattutto nelle associazioni commercianti (Mina – Retano) e artigiani (Barral), ma lontanissimi dalla dirigenza”.
Quote latte: nascono per difendere l’agricoltura europea, ma chi protesta dice che le quote latte impediscono loro di lavorare. Ma se ci fosse il libero mercato sparirebbero; questa fu la posizione di Comino che non venne mai apprezzata perché all’interno della Lega Nord si riteneva fosse giusta la battaglia perché molti allevatori erano simpatizzanti leghisti. Da questo tema Sciandra ricava un commento generale sulla Lega Nord: “La difesa sempre degli interessi particolari non porta da nessuna parte”.
La destra ultraradicale era profondamente antiamericana, così come si dichiara tuttora Sciandra che descrive gli U. S. A. come un paese democratico, forse, al suo interno, ma assolutamente indifferente dei diritti altrui fuori dai propri confini. Bossi, dice Sciandra, era profondamente antiamericano: la Lega Nord votò contro la prima guerra in Iraq e in Consiglio Comunale a Cuneo i rappresentanti leghisti fecero un ordine del giorno contro la guerra. Stesso atteggiamento venne assunto per la guerra in Serbia: Domenico Comino e Roberto Maroni si recarono, su input di Umberto Bossi, a parlare a Milosevic (sotto copertura Nato, dei servizi italiani e del governo D’Alema). La guerra rispondeva a interessi geopolitica precisi: eliminare l’ultimo paese europeo non allineato con gli U. S. A. e legittimarsi con il mondo musulmano intervenendo a loro difesa. Secondo Sciandra Bossi capì che gli interessi geopolitica americani potevano entrare in contrasto con gli interessi geopolitica italiani e che agli Stati Uniti andava bene lo status quo. Sciandra racconta inoltre come all’interno della Lega Nord si iniziò a domandarsi chi ci fosse dietro alle azioni di Di Pietro: si ipotizzò l’intervento di qualche intelligence, come, appunto, quella americana; secondo tale ipotesi gli Stati Uniti avvertirono che in Italia si stava attuando una deriva di notevoli proporzioni in Italia e si doveva intervenire per dare uno stop finche si era in tempo, per creare poi una nuova classe dirigente. Cita inoltre una presunta campagna stampa – psicologica per preparare il terreno alla discesa in campo di Berlusconi prima dell’ufficializzazione della stessa. Per Sciandra, comunque, l’azione dei giudici era conseguente alla “spallata” data dalla Lega allo status quo.
Intervista a Riccardo Vaschetti - 23/3/2006
Intervistatori: Fabio Dalmasso
Riccardo Vaschetti entra nella Lega Nord nel 1992 “ quasi per caso”: era consigliere comunale in una lista civica a Bastia Mondovì (CN), un paese di 600 abitanti e lavorava presso la Filea Leasing di Mondovì (CN), il cui direttore generale ed amico era Stefano Caramelli che, ai tempi, frequentava la sezione della Lega Nord di Mondovì. In quel periodo ci furono le elezioni politiche “con forti polemiche sulle candidature e la sezione della Lega era alquanto divisa”. Stefano Caramelli chiese a Vaschetti di entrare nel partito in quanto “esperto di amministrazione… ero consigliere in un paese di 600 abitanti!” e per i leghisti di Mondovì rappresentava comunque una persona esperta del settore. Vaschetti accettò anche perché conosceva alcuni militanti della Lega di Mondovì come l’avvocato Gazzola.
In sei mesi diventa segretario di sezione e un anno e mezzo dopo candidato sindaco e “da lì ha preso il via la mia battaglia politica nella Lega che si è poi conclusa nel 1999 con il congresso di Varese” che sancì l’espulsione di Domenico Comino e di Vaschetti.
Quando Vaschetti fu eletto Sindaco di Mondovì (1994) la Lega Nord contava, in Piemonte, altri due sindaci importanti: Alessandria ed Acqui Terme (AL)), “i tre alfieri delle amministrazioni locali del movimento politico della Lega”. L’elezione di Vaschetti avvenne con un’alleanza tra Lega Nord e Partito Popolare Italiano (“praticamente con il centro–sinistra), allora ancora facente capo a Nicola Mancino, Bianco etc…, quindi in epoca precedente alla rottura con Buttiglione; la Lega Nord fece un’alleanza in provincia di Cuneo partendo proprio da Mondovì e da Cuneo, le prime due città ad andare alle elezioni in quel periodo. Va detto che a livello nazionale, la Lega Nord governava con Berlusconi: a ottobre del 1994, proprio durante il comizio di apertura della campagna elettorale di Mondovì Bossi lanciò la richiesta di verifica politica a Berlusconi con l’operazione che avrebbe portato alla caduta del primo Governo Berlusconi. Nella cena che seguì il comizio, Bossi sostenne che la Lega Nord avrebbe perso a Mondovì (“questo è il suo modo di fare politica”) e che non capiva perché là in quel caso non si fossero alleati con Raffaele Costa “che qua comanda tutto lui”. Vaschetti e altri cercarono di spiegare la cosa a Bossi che tagliò corto dicendo: “tanto perdete” e questa, dice Vaschetti, “era la considerazione del segretario del partito per noi”.
Vaschetti ricorda che, pur non avendo la certezza della vittoria elettorale, avvertivano comunque un certo consenso attorno ad loro. Il primo turno fu appannaggio del candidato appoggiato da Costa, Antonio Viglione, mente nel secondo turno confluirono su Vaschetti tutti i voti dei partiti che non facevano parte della coalizione biancoverde, senza apparentamenti ufficiali: “io non mi sono mai apparentato in occasione di elezioni da Sindaco, la compagine che mi ha appoggiato al primo turno mi ha poi sostenuto al secondo… abbiamo fatti patti programmatici, offerto posti in giunta, ma mai apparentamenti ufficiali”. Su Vaschetti confluirono i voti dei Ds, forse anche di Rifondazione e dopo il 32% del primo turno (Viglione il 43%), al secondo turno raggiunse il 57%, mentre Viglione il 43%: in termini numerici Viglione perse migliaia di voti.
Dopo la vittoria alle elezioni, Vaschetti governa da Sindaco per tre anni fino a quando avviene la frattura con il Partito Popolare (estromissione di Cirio da vicesindaco di Alba), revoca le deleghe agli assessori del Partito Popolare i quali presentano e votano una mozione di sfiducia con conseguente caduta dell’amministrazione (“l’unica amministrazione Lega – PPI che in quel momento rimase in piedi fu quella di Quaglia, alla Provincia, ma lui sta sempre in piedi, è molto bravo”).
Vaschetti si ripresenta alle successive elezioni supportato dalla Lega Nord e da una lista civica, nata tra amici e persone che lo sostenevano a titolo personale (lista civica di Rabbia, vedi intervista): al primo turno raggiunge il 42% con l’avversario (Botto) al 34%; al secondo turno i voti del centro destra (che appoggiavano Stefano Viglione) confluirono su Vaschetti che vinse con ampio margine e Viglione divenne assessore ai servizi sociali.
Le persone che assumevano un certo ruolo politico all’interno della Lega Nord erano per lo più neofiti: l’elezione a Sindaco di Mondovì viene letta, da Vaschetti, come “uno scompaginamento totale delle carte: c’erano degli schieramenti, dei blocchi consolidati… chiamiamoli salotti buoni, oltre al clero che aveva comunque un certo peso: è arrivato questo «unno del Nord» che nessuno sapeva da che parte approcciare … ed è stata la mia fortuna, perché mi sono mantenuto equidistante da tutti e sono riuscito a governare in modo autonomo dai partiti”. Vaschetti afferma che la Lega Nord, come partito, non ha mai interferito sulle questioni amministrative con i suoi sindaci eletti, ma spingeva molto sulle questioni politiche, “cioè le camice verdi, le ronde padane, l’intestazione di strade alla Padania… che so, mettere, al posto di corso Italia, corso Padania etc… cose che io non ho mai fatto perché abituato a ragionare con la mia testa”. Su questi ultimi aspetti la Lega Nord federale puntava parecchio, di qui le accuse, per quegli amministratori che non facevano queste cose, di essere dei venduti al regime… Tali accuse, secondo Vaschetti, provenivano anche dalla base perché “Bossi ha sempre usato la militanza della Lega come una sorta di corpo contundente da scagliare contro il potere costituito”. Vaschetti paragona la situazione descritta a quella di un martello che picchia sulla testa di qualcuno: secondo lui nessuno ha mai pensato, che dopo un po’, a forza di picchiare anche il martello si fa male: “questo, purtroppo, Bossi non l’ha mai preso in considerazione, cioè il fatto che le persone che erano lì ad amministrare, dovevano sostenere un ruolo istituzionale e fare delle cose concrete per la gente”. Vaschetti è convinto che i consensi arrivino dal basso, di conseguenza se una persona amministra bene i risultati si vedono, come dimostra il suo caso a Mondovì: infatti quando lui lasciò la Lega il partito scese dal 40% al 4,5%. Per Vaschetti, quindi, il consenso arriva dal basso, mentre per Bossi il consenso giunge dalle azioni politiche che la dirigenza nazionale riesce a portare avanti. Tale strada potrebbe essere una scorciatoia, afferma Vaschetti, ma spesso si trasforma in “un fuoco di paglia perché nel momento in cui hai lanciato grandi campagne, hai raccolto voti su quel tipo di proposta politica, come ad esempio la secessione, finita o disinnescata quella cosa, non rimane più nulla”; invece, se il consenso è basato sull’attivismo amministrativo, sulla buona amministrazione e sulla capacità di dare risposte ai bisogni della gente, questo si radica sempre di più e ti segue.
All’interno della Lega
Nord Vaschetti ricopre incarichi crescenti: è stato nel direttivo
regionale dell’ANCI, prima che la Lega Nord rompesse con l’ANCI e
costituisse la Confederazione dei comuni e delle province del Nord,
che racchiudeva il 99% dei comuni leghisti e l’1% dei comuni di
comuni non espressamente leghisti. In tale associazione
Vas
Ha avuto diversi ruoli politici: è stato due volte segretario politico cittadino di Mondovì, membro del direttivo leghista provinciale, membro del primo Parlamento del Nord a Mantova.
Poi, nel 1999, avviene quello che Vaschetti definisce “un pezzo della storia d’Italia scritto dalla Lega della provincia di Cuneo”. Nel 1999 la Lega Nord presenta come candidato alle elezioni provinciali l’Avvocato Paolo Gazzola perché “il diktat era: corriamo da soli”. I candidati erano: Gazzola per la Lega Nord, Guido Crosetto per il centro–destra e Giovanni Quaglia “per il resto del mondo”. Una forte amicizia (risalente ai tempi dell’ANCI) lega Vaschetti e Crosetto (allora Crosetto era ancora un esponente della D. C.): all’avvio della campagna elettorale la Lega Nord cerca di fare un alleanza di primo turno, ma Bossi non accetta.
Tra i leghisti di Cuneo si vocifera che il motivo per cui Bossi non ha voluto fare alleanze con il centro–destra è riconducibile al fatto che l’anno successivo (2000) ci sarebbero state le elezioni regionali e c’era un accordo tra Bossi e D’Alema (i vertici dei Ds) per far sì che Maroni diventasse il presidente della regione Lombardia. La Lega Nord, ricorda Vaschetti, era nata come unione di movimenti autonomisti regionali, messi insieme per creare un fronte compatto contro il centralismo romano: all’interno di questo progetto, “assolutamente condivisibile”, Bossi ha fatto in modo che la Lombardia fosse più importante del Piemonte, del Veneto e delle altre regioni. “A noi piemontesi, e soprattutto a noi cuneesi che eravamo lo zoccolo duro della Lega in Piemonte, non stava bene perdere le elezioni, uscire dal governo per consentire poi, l’anno dopo, un’alleanza col centro-sinistra (cosa che era agli antipodi del modo di pensare del nostro elettorato) per consentire a Maroni di fare il presidente della Lombardia”. Tutto questo, ricorda Vaschetti, non è mai stato ammesso: di queste strategie Bossi non ne parlava nemmeno con i più alti livelli del partito, al massimo ne discuteva con due o tre persone come Pagliarini, Maroni, Speroni, “quei quattro o cinque colonnelli che aveva intorno… tutti rigorosamente lombardi”.
Questa strategia non fu accettata dai leghisti cuneesi, esponenti di una Lega moderata: al primo turno Gazzola ottenne meno voti del previsto (circa 14%, un risultato inferiore anche a quello delle elezioni politiche precedenti) e i leghisti cuneesi trassero due conclusioni: lo spazio per un terzo polo nordista non c’era ed un’alleanza con il centro–destra avrebbe probabilmente consentito di vincere, anche solo in base alla sola somma dei voti ottenuti da Crosetto e Gazzola al primo turno.
Il direttivo provinciale della Lega Nord si riunisce in via informale (presenti Alberto Cirio, Carla Chiappello, Paolo Gazzola, Vaschetti ed altri)
Comino, secondo Vaschetti, è sempre stato allineato alle disposizioni di Bossi, “o perlomeno di fronte a noi dava questa impressione… al punto che quando è andato a spalleggiare Milosevic a Belgrado noi siamo rimasti completamente spiazzati: mentre era là sembra addirittura che tenesse contatti telefonici con D’Alema, allora Presidente del Consiglio”. Vaschetti ricorda le manifestazioni ad Aviano, con gli striscioni davanti ai caccia perché non partissero, “peggio dei no-global di oggi”, oltretutto in favore di un dittatore che impediva la secessione ad un territorio mentre la Lega, proprio in quel periodo, stava propagandando la secessione del Nord: “per noi queste erano cose assolutamente incomprensibili, al di là di ogni logica, calcoli strettamente elettoralistici finalizzati a coltivare un orticello veramente molto piccolo”.
Tornando al 1999, dopo il primo turno delle elezioni provinciali, Comino era schierato dalla parte di Bossi. Il direttivo provinciale del partito pone Comino di fronte ad un bivio: “Con o senza l’autorizzazione di Bossi noi ci apparentiamo con Crosetto, se ci buttano fuori lo facciano pure, ma dopo le elezioni, adesso non possono fare nulla, legalmente abbiamo la disponibilità del simbolo e l’appoggio della base”. Vaschetti era anche Sindaco di Mondovì, quindi anche dal punto di vista dell’immagine politica aveva un certo peso.
Comino, di fronte a questa presa di posizione molto precisa e secca, prende posizione al consiglio federale della Lega Nord e sostenendo che il Piemonte (di cui era segretario) vuole fare l’alleanza: “non poteva dire la provincia di Cuneo sì e gli altri no: le altre province gli si sarebbero rivoltate contro dicendo che, essendo lui di Cuneo, permetteva alla provincia di Cuneo di fare alleanze… bisogna dire che la voglia di alleanza col centro–destra c’era per tutti perché il nostro elettorato era di centro–destra, non di centro– sinistra… e l’alleanza dell’anno dopo, che Bossi avrebbe voluto fare, avrebbe spaccato il movimento e, probabilmente non gli avrebbe fatto vincere le elezioni”. Vaschetti dice che lo zoccolo duro, quel 5% che vota Lega in ogni caso, magari tappandosi il naso avrebbe accettato un’alleanza di quel tipo, però il grosso dell’elettorato (in quel momento la Lega aveva il 30% dei voti) non l’avrebbero seguito.
Bossi, di fronte alle affermazioni di Comino sull’alleanza in Piemonte, ha brontolato, ma Comino ha fatto il muso duro (“si trattava di perdere la leadership del Piemonte, per lui”) e ha tenuto con Bossi lo stesso atteggiamento che il direttivo provinciale aveva tenuto con lui, ribadendo che l’alleanza si sarebbe fatta comunque, anche con Bossi contrario. A quel punto il federale diede il consenso, con delibera in cui si specificava che solo il Piemonte avrebbe potuto fare l’alleanza.
Le elezioni vedono Quaglia vincitore e inizia il processo a Comino da parte della Lega Nord: è iniziata una sorta di linciaggio politico sulla Padania di quei giorni, è stato detto che Comino era un traditore (il tutto per preparare il congresso di luglio).
“A quel punto si trattava o noi o loro”. Siccome Comino segretario nazionale del Piemonte aveva un po’ ridimensionato alcuni personaggi come il Borghezio di turno o altre persone come Brigandì e via dicendo, ovviamente a queste persone non sembrava vero di fare fuori Comino e prendere il suo posto: “si è creata una sorta di alleanza trasversale tra i lombardi e questa frangia estremista piemontese, tra cui c’era anche l’onorevole Guido Rossi di Saluzzo etc… che per fortuna è stato defenestrato e ha avuto quello che si merita perché quello che è successo poi al congresso è stato organizzato in parte anche da lui”.
Il giorno prima del congresso di Varese Vaschetti e Comino scrivono l’intervento di Comino nel suo studio: “ero molto vicino a Comino, ho condiviso le sue scelte e anche questa di tirare un sasso nello stagno, cioè di dire che Bossi non è un’entità cadutaci dal cielo, non è il guru di una setta: è un segretario politico e là dove ci sia una tesi alternativa alla sua si propone e si vota”. Vaschetti ricorda che loro erano convinti di uscirne sconfitti dal punto di vista politico, ma non picchiati, non insultati, non presi dal lancio delle uova e non con delle persone che sono finite in ospedale.
Quando Vaschetti e i delegati del Piemonte arrivano al Palasport di Varese trovano le Camice Verdi di Borghezio “pronte ad accoglierci” : i pullman cuneesi erano scortati dalla polizia, la Digos li ha scortati da Cuneo fino a Varese e li ha scortati fino a dentro: “quindi specialmente loro se lo aspettavano questo”.
Vaschetti, come delegato, giunge al congresso il sabato e “si respirava un clima… una cosa vergognosa, spaventosa per un congresso politico, da linciaggio”. Ferrario fece un intervento di solidarietà nei confronti dei cuneesi ed fu fischiato.
Al sabato chiamano Comino a parlare, perché lui aveva chiesto di poter intervenire ma non era presente, perché sarebbe giunto a Varese la domenica mattina, stava finendo la sistemazione del discorso. Vaschetti, Sciandra, Cirio e gli altri del direttivo erano presenti e alle 4 del pomeriggio, sala semi vuota, Pagliarini chiama Comino a parlare: lo chiama due o tre volte fino a quando Vaschetti fa presente a Pagliarini che Comino parlerà il giorno successivo, la domenica. Al che Pagliarini annuncia che Comino rinuncia all’intervento: “un metodo subdolo per zittire l’opposizione interna”. Tra i delegati del Piemonte si raccoglie una petizione pro Comino e alla domenica mattina arriva Comino, in macchina e scortato dalla Digos perché ci si aspettava qualcosa.
“Arriviamo a Varese e, come scendiamo, troviamo questi squadristi con bastoni, sciarpe verdi sulla faccia etc… no global, chiamiamoli così…” ricorda Vaschetti; entrano nel parterre del palazzetto del congresso: tra gli altri era presente anche Francesca Calvo, Sindaco di Alessandria, cioè persone anche di un certo livello sociale e culturale; dagli spalti iniziano ad arrivare uova e oggetti verso i delegati piemontesi, mentre si accende una rissa sugli spalti: viene coinvolto Sciandra e la sua ragazza, la quale viene “presa e sbattuta giù dalle scale, lui è stato oggetto di colpi con spranghe, con i bastoni delle bandiere etc… mentre i nostri supporter cercavano di difendersi”.
Quando arriva Comino, si avvicina al palco (Bossi non era presente), Pagliarini dà la parola a Comino il quale inizia il discorso: legge le prime quattro righe dicendo: “sono qui per candidarmi alla segreteria federale della Lega Nord” quando sale sul palco un fan di Borghezio che cerca di picchiare Comino. Il servizio d’ordine lo blocca, Comino cerca di portare avanti il discorso, ma viene sommerso dai fischi di tutto il palazzetto (“ovviamente, con la campagna che era stata fatta prima si era preparato il campo”), viene buttato praticamente fuori dal palco come dire “vedi che nessuno ti vuole, vattene a casa” e non finisce il suo discorso .
La delegazione piemontese esce quindi a metà congresso, protetti dai cordoni della polizia e bersagliati di oggetti, e tornano a casa. Due o tre giorni dopo i piemontesi si riuniscono a Mondovì, danno vita alla formazione politica Piemont, dove confluiscono tutti i militanti delusi della Lega Nord. Vengono consegnate a Vaschetti 300/400 tessere della Lega Nord da parte di militanti delusi: “e bisogna tener conto che per un leghista la tessera da militante è qualcosa di simbolico, quasi come per un cristiano, anche se non regge il paragone, consegnare il simbolo della croce o cose del genere: uno la militanza doveva conquistarsela sul campo, doveva fare attacchinaggio etc… bisognava lavorare parecchio per diventare militante e quindi avere accesso a tutte le forme di democrazia interna… tra virgolette democrazia… se non eri militante non avevi diritto a nulla…”. Ricorda che il giorno della riunione la sala era colma e arrivavano i pacchi delle tessere dalle altre province.
Comino è stato espulso pubblicamente, Vaschetti ha ricevuto la lettera di espulsione nel momento in cui mandava la lettera di dimissioni a Bossi; la motivazione dell’espulsione era attività contrarie allo statuto del movimento etc… “cose mai dimostrate, io non ho mai fatto niente contro il movimento, ho sempre fatto la mia parte”. La lettera di dimissioni di Vaschetti è stata pubblicata in prima pagina sul Corriere della Sera (“che era, come oggi, di sinistra, me l’ha demonizzata dicendo che ho sputato nel piatto dove ho mangiato perché dicevo che non si doveva andare a sinistra”), Famiglia Cristiana etc… ma non su La Padania.
Vaschetti afferma che non era più possibile restare nel partito e quindi si dimise da tutte le cariche.
In seguito il gruppo di fuoriusciti andò avanti: il gruppo consigliare a Mondovì, formato da 12 consiglieri tra Lega Nord e Lista Civica, rimase compatto: “su 12, 11 rimasero con me e una, Claudia Quaglia, che lavorava alla Lega come segretaria, rimase con la Lega… è la nipote di Conti, quello che recentemente è uscito anche lui dalla Lega”.
Vaschetti sottolinea che il gruppo cuneese della Lega Nord ha fatto un pezzo della storia perché, quando si riunirono nella “seconda casa di Carla Chiapello a Chiusa Pesio e abbiamo preso la decisione di andare da Comino e dirgli «o lo fai tu o lo facciamo noi, comunque», hanno inciso su quelli che sono stati gli andamenti di alleanze politiche, a livello nazionale, perché quando Comino fu espulso dalla Lega Nord aveva già in mano la possibilità di costituire il gruppo parlamentare alternativo. Tutti i parlamentari di allora erano convinti che non sarebbero potuti stare dalla parte della sinistra e si sarebbero spostati con quel pezzo di Lega che pensava di stare con il centro–destra. Per impedire questo Vaschetti dice che Bossi ha abiurato l’accordo con il centro–sinistra, ha ripreso i contatti con Berlusconi e alle successive elezioni si è presentata con il centro–destra (elezione regionale di Ghigo), non con il centro–sinistra.
Vaschetti ricorda di avere fatto, per circa un mese e mezzo, il tramite tra Comino e Tremonti, sentendosi al telefono: quando Tremonti venne a Cuneo per un incontro, Vaschetti notò l’atteggiamento di Tremonti e le sue parole sulla Lega e si disse: “Ci hanno scaricati”.
Piemont, la formazione dei fuoriusciti della Lega, rimase poi sempre nel centro–destra ma trattati come “appestati e siamo stati sdoganati da un patto federativo che abbiamo fatto con Alleanza Nazionale… se va verso Frabosa e Villanova [paesi vicino a Mondovì N. d. R.] troverà ancora la scritta «Vaschetti fascio» sulle cabine della luce… fatte dalla Lega per farmi passare come una sorta di fascista, mentre la nostra era una semplice alleanza elettorale, con gli amici di Alleanza Nazionale, grazie alla quale siamo riusciti a rientrare nella Casa delle Libertà”.
In seguito il movimento Piemont, a causa di un errore strategico di Comino, per Vaschetti, si è trasformato in A. P. E. (Autonomisti Per l’Europa), una “sorta di Lega 2”, partecipò alle elezioni regionali come A. P. E. “dimenticandoci il nostro simbolo, di Piemont, che invece era stato opportunamente pubblicizzato e anche interiorizzato dai nostri militanti e dall’elettorato piemontesista”. Il nuovo simbolo dell’A. P. E. ha anche vanificato il lavoro di Francesca Calvo, candidata alla presidenza della Regione.
Nell’A. P. E. c’erano alcuni lombardi, capeggiati da Gnutti (dimessosi e dissidente con la linea Bossi); alcuni Veneti, capeggiati da Comencini, già espulso prima di Comino e dei piemontesi.
Vaschetti afferma che se si vanno a vedere le parabole dei vari esponenti leghisti, cominciando da Comencini, passando per la Pivetti, Comino etc… cioè tutte quelle persone che, in una certa misura, hanno ottenuto visibilità personale all’interno del movimento, questi sono sempre stati stroncati: “Bossi si è sempre comportato come una falciatrice: come emergeva una testa dal gruppo lui passava con la falciatrice e la tagliava”. La fine della Pivetti è stata segnata quando nel congresso di Milano lei, da Presidente della Camera, è stata accolta con grande entusiasmo da tutti i partecipanti, “un’ovazione doppia di quella che aveva ricevuto Bossi”, questo ha segnato la fine politica di Pivetti perché ha avuto più visibilità del suo leader. Stessa cosa con Comencini, che nel Veneto aveva in mano il movimento: “i veneti non sono “deficienti” come noi piemontesi che ci accodiamo ai lombardi, i veneti mantengono… sono più autonomisti dei lombardi…”: al congresso di costituzione di Piemont, e poi all’A. P. E., sono venuti in Piemonte 4/5 pullman dal Veneto con le loro bandiere etc… La cosa grave, dice Vaschetti, “è che tutto questo non era fatto per combattere il centralismo romano, lo Stato corrotto, ma per combattere gli altri leghisti che invece erano al comando di questo Bossi che ho imparato a conoscere, anche nel corso di incontri molto ristretti… personalmente non ritengo che sia una persona di così alto spessore politico…”.
Bossi rimane comunque la figura di spicco della Lega Nord, ma non potrebbe essere altrimenti per come sono i meccanismi del partito: i segretari nazionali sono messi da lui, i segretari nazionali nominano i consigli direttivi nazionali etc… la parte del dissenso non può mai arrivare ai posti di potere “e se uno è al posto di potere e acquisisce una forma di dissenso, viene immediatamente fatto fuori… la Lega è così, non è un partito come si può pensare normalmente… dicono che Berlusconi faccia tutto lui, ma Forza Italia è più democratica… la Lega non sa cosa sia la democrazia interna, non esiste, non c’è”.
Finita l’esperienza con l’A. P. E. Vaschetti ha preso per un anno la tessera di Forza Italia, “più per un appoggio alla candidatura di Guido Crosetto che non per altro”, ha fatto una lista civica Mondovì, la Lista Vaschetti, che ha preso il 13% di voti: insieme alla vecchia lista che l’aveva appoggiato nelle prime elezioni hanno raggiunto il 30%, mantenendo un buon consenso locale. Come politica attiva ha smesso e si dichiara sconcertato della situazione da entrambe le parti: “sono un uomo di centro–destra, non farò mai passaggi a sinistra, però non ho più voglia di impegnarmi perché, secondo me, non ci sono più i presupposti”.
Vaschetti ricorda che quando si iniziò a parlare di secessione ci fu una perdita di consensi sia come simpatizzanti che come militanza: “tutti noi amministratori eravamo molto critici con questa cosa.. ricordo un direttivo provinciale, tenuto a Cuneo, dove erano presenti Stefano Mina, Sciandra che era segretario, Claudio Dutto, Cirio e tutti quelli del direttivo. Bossi, e sarei disposto a confermarlo davanti a un magistrato, disse che la fase democratica del movimento era finita, si entrava nella fase rivoluzionaria, che sicuramente sarebbero scappati dei morti, ma «tanto se ne ammazziamo uno o ne ammazziamo mille la condanna che ci danno è la stessa», che era ora di tirare fuori gli attributi e non nascondersi dietro a un dito, «ci sarà da combattere e noi la battaglia sulla secessione la vinceremo»”. Vaschetti ricorda che tutti rimasero zitti, lui fu l’unico che reagì ricordando a Bossi il suo ruolo da Sindaco e che non poteva certo appoggiare atteggiamenti violenti, se l’intenzione fosse stata quella di proseguire per la via violenta Vaschetti avrebbe dato le sue dimissioni da Sindaco. Bossi rispose che gli amministratori sarebbero dovuti rimanere al loro posto perché erano la “faccia spendibile del movimento, la faccia istituzionale, quella davanti”.
Bossi ha sempre tenuto le due anime del partito: da una parte la militanza dura e pura, dall’altra parte gli amministratori, due cose diverse, “volutamente messe in competizione l’una con l’altra per cui noi, amministratori, siamo sempre stati considerati dei traditori dalla base.” Vaschetti ricorda che in quel momento capì che era la fine della Lega Nord: nel momento in cui il partito vuole prendere la posizioni di Harri Batasuna o del Sinn Fein, avere cioè un braccio armato e un braccio politico, capì che la cosa non poteva realizzarsi in Italia: “in Italia abbiamo il Vaticano, siamo un popolo moderato.”.
L’elettorato della Lega Nord, dice Vaschetti, era moderato, allettato dagli slogan di Bossi che aveva dato la speranza a tante persone di poter portare un cambiamento effettivo al paese; a un certo punto si è entrati in una fase involutiva, in cui tutta l’attività del partito è concentrata alle associazioni tipo gli Orsetti Padani, Donne Padane, i Giovani Padani etc… e la parte politica professa un punto di arrivo che è quello della secessione, che non può avvenire.
La secessione, afferma Vaschetti, sarebbe potuta avvenire unicamente se l’Italia fosse stata lasciata fuori dall’euro: “io sono convinto che la presenza della Lega sia stata fondamentale affinchè l’Europa inghiottisse tutto quello che doveva inghiottire e ci accettasse all’interno della moneta unica: per evitare che si creasse una frattura nel paese”. In quel momento la parte ricca dell’Italia, dalla Toscana in su, non avrebbe accettato di perdere il treno europeo a causa di una parte povera, dal Centro in giù, che, indubbiamente, aveva una velocità diversa. Queste cose erano apertamente sostenute da Pagliarini il quale affermava che c’erano due Italie, la parte del Sud dovrebbe stare fuori dalla moneta, la parte del Nord dovrebbe entrare dentro perché così la parte del Sud attirerebbe gli investimenti europei e del Nord. Tutto questo, però, dice Vaschetti, non si sapeva cosa avrebbe creato a livello sociale e politico, uno sconvolgimento nel paese, addirittura un rischio di guerra civile.
La Lega Nord ha perseguito la secessione, se si fa dietrologia, d’accordo con Prodi, così da fare entrare l’Italia nell’euro; oppure perché a Bossi qualcuno dall’estero (“lui qualche consigliere straniero l’ha sempre avuto”) gli aveva garantito che l’Italia non sarebbe entrata nella moneta unica… Il giorno in cui l’Italia ha avuto il consenso ad entrare nell’euro è finita la politica secessionista perché non aveva più senso di essere.
Dopo la secessione si è tornati al federalismo e la cosa, per Vaschetti, poteva avere una logica, ma doveva essere spiegata alla gente: “questi ragionamenti, noi che eravamo dentro, li abbiamo fatti, cercando di interpretare i vari atteggiamenti che Bossi prendeva, ma nessuno ce le ha mai date queste spiegazioni… non si può pretendere che l’elettorato della Lega, che non è un elettorato politicamente molto preparato, o perlomeno, in una parte significativa, perché si basa sul popolo, sui contadini, su gente che non mastica politica dalla mattina alla sera e si fa allettare dallo slogan «Basta dare i nostri soldi allo Stato, teniamoceli noi»… tutti sono contenti quando fai questo discorso, lo capiscono, ma se poi dici che l’Italia va divisa, con i vari Oscar Luigi Scalfaro a criminalizzare questo tipo di idea, ecco che la gente si spaventa…”.
Vaschetti dice che la provincia di Cuneo è stata la provincia che nelle elezioni del 1994 ha visto lo spostamento di percentuale più alto d’Italia: la gran parte di quelli che votavano Democrazia Cristiana si è riversata sulla Lega: “Ma chi votava D. C. non è gente che prende il moschetto e va a sparare al meridionale o al marocchino”. Questo, per Vaschetti, è sbagliato concettualmente, l’uso della violenza è da condannare in ogni caso, ma ancora più sbagliato dal punto di vista politico perché fa perdere voti. Molti dei leghisti della prima ora non condividevano la scelta secessionista, Vaschetti ha avuto molte difficoltà a mettere la camicia verde: “sono contrario alle divise in sé, non quelle delle forze dell’ordine, ma le divise in sé”. Questo perché “io ho la mia testa, ho la mia spilla di Alberto da Giussano, si sa che sono della Lega, ma non vado in giro vestito come un pagliaccio. Questo era voluto per azzerare la personalità della gente, per portarla a essere schierati, da testa a piedi, con il movimento… e più che con il movimento, con Bossi”.
In provincia di Cuneo le Guardie Padane non ebbero molto successo, ma qualcosa c’era: “la provincia di Cuneo, per la Lega, è sempre stata un po’ il banco di prova… quando c’è stato imposta la costituzione della scuola padana io ero Sindaco e non ha idea di quante pressioni mi siano arrivate per questa cosa, ma io li ho mandati a stendere sempre… io ho fatto delle azioni normali, a salvaguardia della cultura, come un corso di piemontese per insegnanti, come la valorizzazione dei poeti dialettali locali, ma non tornando indietro ai tempi delle scuole del fascio etc… e questo mi è sempre un po’ costato nei confronti della militanza dura e pura con l’accusa del traditore, che non seguiva le indicazioni del capo…”. La Guardia Nazionale Padana (GNP) è l’istituzione alla quale hanno aderito le Camice Verdi, che sono state cancellate dall’oggi al domani da Bossi in un congresso.
Per Vaschetti cosa ha fatto perdere voti alla Lega è stata l’incapacità di gestire il consenso, non tanto l’alleanza con Berlusconi. Se ci si presenta agli elettori dicendo: “Votatemi perché quando sono lì spacco tutto” , dal punto di vista amministrativo ovviamente, e poi quando si è eletti non cambi nulla dello status quo della politica, della burocrazia etc…, questo fa perdere voti. La mancata gestione del consenso fu dovuta alla mancanza di uomini, mancanza di idee, o forse, per eccessiva ricchezza di idee contraria a quella della sana amministrazione.
La mancanza di uomini è quasi insita nella Lega, che si è formata quasi completamente dalla società civile, senza esperienze politiche: non sono tanti coloro che, in poco tempo, riescono ad acquisire la capacità gestionale di una macchina amministrativa, partendo dal nulla: “diventa uno sforzo importante che la Lega non è stata in grado di accompagnare, di assecondare, ma anzi, gli amministratori erano visti come i traditori che erano lì al servizio di Roma”.
Vaschetti dice che se oggi non c’è più speranza di cambiare pacificamente il Paese, un cambio radicale dal punto di vista della gestione amministrativa, della burocrazia, delle tasse etc… se oggi non c’è più questa speranza nella gente, dal Nord al Sud, gran parte della colpa è di Bossi: “lui ha illuso per un po’ che, avendo i voti, la Lega avrebbe fatto questo cambiamento. In realtà non lo ha fatto, la gente lo ha votato perché lo facesse e se non c’è riuscito nemmeno lui che ha avuto il 40% dei voti, che aveva le idee, la forza e che si è sempre dimostrato lontano dalle logiche dei salotti e dei partiti, la gente pensa: «chi volete mai che ci riesca». E secondo me una parte consistente dell’astensionismo italiano, soprattutto al Nord, è da attribuire allo sfacelo creato dalla Lega”.
La Chiesa è formata da uomini e ci sono state persone vicine e persone lontane dalla Lega Nord: sicuramente le gerarchie ecclesiastiche non erano vicine, “anche perché Bossi in una campagna elettorale attaccò addirittura il Papa… lui se ne inventava una al giorno per andare sui giornali”. Per cui era difficile che ci potesse essere una grossa vicinanza esplicita; all’interno della Chiesa poi “ci sono preti e non preti che sono vicino alle posizioni della Lega, o perlomeno erano vicine alle posizioni degli uomini della Lega”.
Vaschetti dice cha la sua Lega era diversa da quella di Bossi: “la mia Lega era un tentativo di rendere presentabile un movimento che aveva delle idee giuste, ma portate avanti in modo sbagliato davanti alla gente”.
Quei valori cattolici che oggi la Lega Nord professa ci sono sempre stati e sono “valori comuni a noi ex leghisti, leghisti di allora…la Lega diceva che la Chiesa non ci rappresenta, non porta avanti questi valori, noi siamo per mettere le barriere contro lo strapotere musulmano che sta dilagando in Europa; dal punto di vista etico – sociale siamo contro all’interruzione della gravidanza, contro l’eutanasia, contro alle coppie omosessuali. Non siamo contro dal punto di vista razzistico del termine, cioè per me i gay dovrebbero essere messi tutto al rogo, no! Hanno diritto di essere, ma non è giusto che lo Stato li riconosca, perché altrimenti viene meno un ordine sociale che è stato dato e che si basa su centinaia di anni di cultura che è servito, fino ad oggi, a rendere la società civile con dei punti fermi”. La Lega, quindi, ha sempre difeso questi aspetti etico – sociali: alzare i toni su questi argomenti, visti in maniera opposta dal centro – sinistra, oggi porta le Lega, assieme a Alleanza Nazionale, ad essere uno dei partiti più vicino alle posizioni della Chiesa. La difesa delle radici è anche difesa della famiglia, la religione etc…
Il contrasto tra cattolicesimo e mitologia celtica (“dio Po non è mai stato usato…”): per Vaschetti l’elettorato della Lega è fatto di gente semplice, Bossi aveva bisogno di dare dei simboli per far capire ciò che stava facendo e non poteva dare altri simboli se non quelli, che fossero comprensibili dalla gente.
Oggi, per Vaschetti, ci sono dei giovani nella Lega Nord perché i movimenti piacciono ai giovani (attaccare manifesti, fare scritte sui muri etc…), però “credo che la Lega, che già sta parlando di successione di Bossi e sta trovando le sue prime contraddizioni interne, non abbia nessuna possibilità di avere un futuro e mi stupisco che fino ad oggi abbia tenuto quello che ha tenuto perché tutte le sue idee sono state, via via, o smontate o mutuate da altri partiti… quindi non ne vedo più la necessità… ha tenuto solo attorno alla figura di Bossi”.
Giovani in Lega Nord e giovani di destra (Forza Nuova etc…): “non escludo che ci siano giovani della Lega che facciano parte di Forza Nuova e viceversa…l’etichetta di fascista è comunque quella che ci hanno messo addosso fin dall’inizio… e la Lega non se l’è scrollata di dosso questa cosa… le uscite di Calderoli con le magliette etc.. non sono studiate, ma sono nel Dna: chi è ancora nel partito oggi fa parte di quello zoccolo duro e puro che era lo zoccolo originario, tutto il resto è finito”. Coloro che entrarono nella Lega Nord per portare un contributo di idee e di slancio per operare nelle istituzioni, per modificare l’assetto generale dello Stato, sono stai messi nella impossibilità di agire e ne sono usciti oppure, con molto opportunismo “gente come Claudio Dutto, Michelino Davico e compagnia bella, stanno lì: non la pensano minimamente come Bossi, forse pensano all’opposto di Bossi, ma stanno lì perché non vogliono perdere il posto di potere che hanno”.
La Lega Nord non è di destra in sé: ha dei comportamenti legati alla destra e dei comportamenti legati ad estremismi di sinistra: il congresso di Varese ne è stato un esempio chiaro. Spesso gli estremi si toccano, siano di destra o di sinistra. Non si può dire che sia un partito moderato: ha delle figure moderate al suo interno, come Maroni etc…
L’elettorato era in gran parte moderato, forse arrabbiato, ma lo ha perso: con la secessione e le posizioni oltranziste che hanno allontanato l’elettorato moderato.
Borghezio fa male alla Lega: fa bene al solito zoccolo duro, alla militanza: “Borghezio è tutt’altro che un moderato, svolge il suo ruolo: fa molto bene alla base dura e pura della Lega e fa molto male alla Lega verso l’elettorato… se l’obiettivo di Bossi è difendere quel 5% che hanno per continuare a contare all’interno della coalizione, va benissimo… e penso che questo, ormai, sia lo scopo della Lega… se l’obiettivo fosse stato quello di portare la Lega a diventare un partito popolare, di larga base e aperto ai contributi della società, uno come Borghezio non poteva esistere in un partito del genere”.
Su certe battaglie, afferma Vaschetti, gli è servito essere leghista, come sul problema delle moschee, del fondamentalismo islamico, dell’accoglienza generalizzata gli extracomunitari etc… “ho tenuto posizioni molto rigide e sono contento di averlo fatto e di aver arginato, perlomeno nella mia città, un fenomeno che poteva diventare preoccupante. Ho avuto grande solidarietà dalle forze dell’ordine che mi hanno sempre accompagnato in questo… però su certe cose, come la scuola padana o corso Padania non era possibile, erano cose allucinanti”.
Intervista a Stefano Mina - 18/01/2006
Intervistatori: Fabio Dalmasso
Stefano Mina è stato uno dei fondatori della Lega Nord a Cuneo: commerciante, ha ricoperto in seguito incarichi di carattere amministrativo all’interno della partito (segretario amministrativo). Seguì Comino quando quest’ultimo uscì dalla Lega Nord, in polemica con Umberto Bossi.
Prima di entrare nella Lega Nord, Stefano Mina racconta di aver fatto parte di liste locali – civiche; nel 1989 esisteva il movimento Piemont di Gipo Farassino: prima di questo movimento ne esisteva un altro che faceva capo a Roberto Gremmo: alcune persone uscirono dal movimento di Gremmo e fondarono Piemont a Torino.
Piemont arriva a Cuneo nel 1989: Cesare Ansaldi (in pensione nel 1989, ma da studente universitario direttore di “Lotte Nuove”, periodico del Partito Socialista di Cuneo; in seguito si trasferisce Torino dove diventa un piccolo industriale; giunto alla pensione torna a Cuneo) iniziò a parlare del movimento Piemont a Stefano Mina, spiegandogli che si trattava di un movimento autonomista (“ai tempi si parlava esclusivamente di autonomia”) e gli consegnò del materiale informativo, libri come, ad esempio, quelli di Cattaneo e altri che accennavano al federalismo, anche se il discorso iniziale del movimento rimaneva quello autonomista.
Ansaldi propose a Mina di fondare una sezione a Cuneo di Piemont e gli accennò a Borghezio, conosciuto da Ansaldi a Torino; assieme a Farassino e Borghezio vi erano tre studenti attivi nel movimento: Alberto Sciandra, di Cuneo; Guido Rossi, di Saluzzo; Alberto Cirio, di Alba. In seguito, finita l’università, i tre studenti torneranno a Cuneo per unirsi alla sezione locale della Lega Nord.
Il discorso dell’autonomia piacque molto a Mina e decise di seguire Ansaldi nella fondazione della sezione cuneese: il minimo di persone previste era 5; a loro si unì Barba Toni (professore, preside di scuola media, studioso di dialetto) e altre due persone che però non avranno alcun ruolo nella storia della Lega Nord di Cuneo. La prima riunione avviene a casa di Cesare Ansaldi alla fine del 1989 con Gipo Farassino venne sancita la nascita della sezione cuneese della Lega Nord.
La sede del partito venne individuata in via Fratelli Ramorino: un piccolo alloggio di due camere (150 mila lire al mese) e Ansaldi impiegò un milione per comprare l’arredamento (“due scrivanie e 30/40 sedie da un rigattiere” ). Mina afferma che la Lega Nord, a Cuneo, inizialmente, aveva una struttura debole: la sede negli anni si è ingrandita arrivando a 250 tesserati. Anche dopo 2/3anni, con due eletti, le disponibilità erano minime.
I primi tempi la sezione rimase vuota, non arrivava nessuno; nel mentre iniziarono a fare un po’ di propaganda tra i conoscenti (“chiedevano cosa fosse questo federalismo”) e due disoccupati iniziarono a frequentare la sede del partito. Mina dice che la sede di Torino non finanziava quella di Cuneo e quindi i costi erano a carico dei simpatizzanti.
Lentamente prese forma l’organizzazione del partito: settimanalmente Ansaldi, che era nel direttivo regionale, si recava alla sede di Torino e stampava alcuni volantini. Giunsero i primi attivisti tra i quali Borsarelli: laureato in legge, impiegato in fabbrica, da giovane aveva fatto il Sindaco in un piccolo paese vicino a Mondovì, era la persona che aveva una qualche dimestichezza con la pubblica amministrazione. Borsarelli portò con sé nella Lega Nord Domenico Comino: tutti due erano nel consiglio direttivo dell’Associazione Nazionale Alpini. Borsarelli fornì a Comino i libri di Cattaneo, gli parlò di federalismo e lo convinse ad entrare nella Lega Nord.
Nello stesso periodo entrò nella Lega anche Claudio Dutto, direttore di banca a Cuneo. Mentre alcuni militanti di Torino si recano periodicamente a Cuneo per fare propaganda tra i leghisti, entrarono nella Lega Nord di Cuneo Sciandra, Rossi e Cirio, che già da un paio di anni erano molto attivi a Torino con Farassino.
Lentamente, ricorda Mina, si appresero le basi dell’amministrazione e della politica: Barba Toni (“ha sempre parlato in piemontese, era un po’ estemporaneo, scrittore e poeta”) e Alberto Sciandra (“pendevamo tutti dalle labbra di Sciandra che portava le notizie dal Consiglio Comunale”) furono i primi due eletti al Consiglio Comunale di Cuneo.
Mina ricorda come nei primi anni una delle attività più importanti era quella di aprire nuove sezioni in provincia, grazie al passaparola, al coinvolgimento di amici e conoscenti (“la prima osteria andava bene, si cominciava a parlare, inveire contro il governo di quell’epoca, parlare di federalismo: avevamo qualche pubblicazione che ci passava Torino e la lasciavamo”). Mina afferma che, senza volerlo, si era copiata la “struttura del partito comunista”: c’era un giornale, composto da una pagina, che veniva distribuito e venduto davanti alla chiesa dei paesi alla domenica mattina e, in generale, dove c’era più gente.
Vennero aperte delle sedi: la prima a Saluzzo, con un gruppo formato interamente da giovani, sempre molto attivi nelle manifestazioni; poi vennero quelle di Mondovì, con Vaschetti, che era il leader locale, anche se il deputato di quel collegio fu Lorenzi. Vaschetti si occupò di aprire sedi anche a Ceva, a Garessio. Ad Alba si adoperò Cirio, poi Bra, Cherasco, Caraglio, Dronero (Lingua fu eletto in provincia con Comino, ma in seguito litigò con quest’ultimo e uscì dalla Lega Nord), Savigliano (dove l’avvocato Rebuffo tenne un discorso che concluse con “viva el Piemont e viva l’Italia”). Venne anche formato un primo direttivo provinciale che si riuniva settimanalmente.
Mina dice che si andava in giro per la provincia due o tre volte alla settimana per incontrare gli aderenti delle varie sezioni.
Nel 1991 avvennero le elezioni politiche: risultarono eletti Comino (alla Camera), Lorenzi (al Senato) e Farassino (al Senato, eletto anche a Torino, optò per Saluzzo, facendo posto a Scaglione, il regista). Comino divenne il riferimento della sezione cuneese: al venerdì sera portava le notizie dell’attività politica nella capitale.
Spesso venivano organizzati degli incontri con i parlamentari della Lega Nord eletti anche in altre regioni d’Italia, soprattutto in Lombardia, tra i quali la Pivetti che rappresentava una novità (“era la prima donna a parlare in Lega”) e raccoglieva un sostegno notevole: si erano addirittura creati dei gruppi che vedevano la Pivetti meglio di Bossi. Altro ospite illustre fu Miglio: l’incontro promosso da “La Stampa” (studio della Fondazione Agnelli favorevole al federalismo) prevedeva un dibattito tra Ciriaco de Mita e Gianfranco Miglio, che venne seguito dai leghisti con molto calore. Qualche volta fu invitato anche Borghezio, che però aveva un suo gruppo di fedeli a Torino (inoltre Comino non vedeva molto bene Borghezio). Il grosso successo avvenne con i primi comizi di Bossi, con la piazzetta del Municipio gremita (“La Stampa” stentava a dire 5000 persone, ma ce n’erano anche di più”).
L’atteggiamento iniziale degli altri partiti fu quello di classificare la Lega Nord come un insieme di ignoranti e per dimostrare il contrario la Lega di Cuneo decise di candidare sempre gente laureata (“avevamo sto complesso ormai: siamo ignoranti, rozzi etc…”).
I rapporti con gli altri partiti locali erano molto deboli, benché quando la Lega ottenne un buon appoggio elettorale rimasero stupiti: i risultati elettorali furono la vera soddisfazione dei leghisti cuneesi (“ci davano forza, ci aiutavano”).
Mina trascorreva molte ore della propria giornata nella sede della Lega Nord di Cuneo che divenne un punto di riferimento per qualsiasi problema dei cittadini (“in teoria avremmo dovuto essere un sindacato, un patronato, una struttura per fare ricorsi all’ufficio imposte etc… venivano a chiedere di tutto, nell’impreparazione più generale”) anche se non disponeva affatto di un’organizzazione in grado di gestire tutti questi problemi.
Alle ultime elezioni prima di uscire dal partito, Mina ricorda l’ottimo risultato della Lega Nord che elesse 5 parlamentari in provincia con quasi il 30% di consensi: risultarono eletti Comino, Lorenzi, Barral, Miroglio (Alba) e l’avvocato Rosso, che poi uscì dalla Lega e passò al gruppo Dini, “pensando che i voti fossero suoi, ma in Lega si è sempre saputo che i voti non erano di nessuno se non della Lega”, cioè non erano assolutamente voti personali.
Nel caso di Alba, Cirio portò in Forza Italia molti iscritti della Lega Nord: per Mina anche Comino, se fosse passato a Forza Italia, sarebbe stato eletto, “e Forza Italia l’ha cercato a lungo”.
Mina afferma che il grosso elettorato della Lega Nord in provincia di Cuneo sono sempre stati i paesi, mentre la città di Cuneo seguiva meno il partito; molti voti passarono dalla D. C. alla Lega Nord, ma “soprattutto della Coldiretti”. Per Mina il contadino vedeva nella Lega qualcosa che lo proteggesse, lo aiutasse e non contò tanto una vicinanza di valori tra D. C. e Lega (“anche perché noi allora sparavamo contro la D. C.”).
Per Mina, comunque, parecchi voti della Lega arrivarono dalla D. C. ma la maggior parte dal Partito Socialista, che non aveva più un punto di riferimento; alcuni anche dal P. R. I. e dal P. L. I. Il voto dato alla Lega era un voto di protesta e gli slogan usati erano la verità, elementi di n programma che speravano di attuare: Mina racconta che le persone che furono più vicine alla Lega Nord e alle sue proposte furono gli abitanti delle montagne che si sentivano abbandonati mentre a Cuneo si facevano le stagioni teatrali (con 600 milioni di costo) e le piscine (“questa povera gente… cosa ha avuto da questo Stato? Niente, anzi ha costretto il negozietto del paese a chiudere causa l’obbligo degli scontrini fiscali”).
Mina uscì con Comino (“non mi ha espulso nessuno, solo Comino venne espulso”), il quale venne messo fuori dal partito perché si era autocandidato a segretario federale, Bossi non aveva mai avuto un affronto del genere. A farlo espellere furono i 10.000 (su 20.000) fedelissimi di Bossi che giudicarono il gesto di Comino un affronto (“Comino avevano solo più da linciarlo”). In seguito Comino fece un suo gruppo in Parlamento, seguito da 10 parlamentati che non sopportavano Bossi e le sue maniere: il dissenso non era sul federalismo. Con Comino uscirono Mina, Sciandra e altri del nucleo storico, come Vergatini segretario amministrativo provinciale.
Il periodo della secessione, però, non venne condiviso da tutti: in seguito alla svolta secessionistica la Lega Nord di Cuneo perse iscritti e attivisti , oltre ai voti (Mina era segretario amministrativo del partito e registrò tale flessione). Comino inizialmente seguì le direttive del partito. Ovviamente esisteva anche una parte del partito che era convinta della secessione.
Un’altra perdita notevole di iscritti e di voti avvenne con l’alleanza Bossi – Berlusconi, vista come un cambio di rotta: all’inizio Bossi, “e tutti i leghisti alle spalle”, criticava aspramente Berlusconi, anche, per Mina, la Lega fu costretta ad allearsi a causa della legge elettorale.
Alla Lega Nord di Cuneo arrivavano le direttive da due parti: una dalla segreteria nazionale, di natura prettamente politica, e un’altra da Torino, più amministrativa, anche se i soldi da Torino erano sempre troppo pochi. Per fortuna, afferma Mina, qualcuno ha aiutato il partito: ad esempio, la campagna elettorale in cui fu eletto Miroglio fu l’unica volta che il partito non fece debiti per fare i manifesti. Miroglio aveva dato una cifra: il regionale subito si prese la metà, il resto rimase per la campagna elettorale (manifesti, volantini da distribuire nei paesi etc…).
Mina è stato assessore alle attività produttive nel Comune di Cuneo, con la giunta Lega – centro sinistra fino al Governo Dini: in quella tornata entrarono in Comune, assieme a Mina, Panero e Borsarelli. Poi, ricorda Mina, Bossi fa il ribaltone e la Lega venne estromessa dalla Giunta comunale di Cuneo (come in altre città, ad esempio Mondovì).
Nei settori come artigianato e commercio Mina non ricorda una vicinanza con la Lega: alle riunioni della Lega partecipavano pochi artigiani e commercianti, un buon numero di impiegati (la classe più rappresentata), pochi insegnanti e alcuni professionisti. Le associazioni di settore (artigiani e commercianti) non hanno mai preso posizione perché erano ancora radicate con i vecchi partiti.
L’iniziativa delle Guardie Padane venne analizzata da Mina come qualcosa di folcloristico, un bisogno di Bossi verso qualcosa di nuovo, un’escalation, come l’iniziativa del Monviso (3 giorni nel settembre 1996), fu una ricerca di simboli: ad esempio il simbolo del Sole delle Alpi (mondo celtico).
Secondo Mina Bossi è convinto, oggi, che la Lega sarà un partito regionale, non un partito nazionale, che si attesterà solo al Nord: un tempo c’era Rossi Oreste, deputato di Alessandrina, che era stato delegato a portare la Lega al Sud e viaggiava nel Meridione cercando contatti, adepti etc… Invece ora Bossi ritiene che, se il Sud vuole, deve fare la Lega del Sud, come il Nord ha la sua.
La Chiesa non appoggiò la Lega Nord (“non abbiamo mai avuto l’appoggio della Chiesa”): la Pivetti aveva cercato saldato qualcosa del mondo cattolico con la Lega; Mina la definisce una cattolica integralista (si rifaceva alla Vandea), molto morigerata, ma non rappresentava un valore fondamentale all’interno del partito. Mina riteneva che potesse piacere ai cattolici la figura della Pivetti e, in parte, questo avvenne.
Per Mina ora la Lega si è calmata un po’: da partito di lotta e di governo è diventato un partito di governo, mentre a livello locale si è un po’ isolata, presentandosi da sola alle elezioni.
Intervista a Mino Allemandi - 7/12/2005
Intervistatori: Fabio Dalmasso
Mino Allemandi ha fatto 30 anni di militanza tra P. C. I. e P. S. I., oltre a svolgere attività sindacale in fabbrica; in seguito è stato un attivista della Lega Nord per 11 anni: la sua militanza finì nel 2002 con la presunta espulsione dal partito per motivi che lui stesso non sa precisare. Fa parte della sezione braidese di Legambiente.
Nato nel 1940, trascorre tutta la sua infanzia e l’adolescenza a Sampeyre (in montagna) per poi trasferirsi, con tutta la famiglia, a Bra (Cn); nel 1965 si sposa.
La sua prima tessera politica risale al 1958, all’età di 18 anni, ed era quella del Partito Comunista Italiano. Ricorda bene Isacco Nahoum con il quale si formò politicamente. Il primo comizio di Allemandi è a 19 anni, a Bra.
Ha lavorato tre anni alla Fiat, ma non digeriva il fatto che, per 8 ore retribuite, doveva farne 12, contando i viaggi da Bra a Torino. Entrò in una fabbrica di Bra, fino al fallimento di questa.
Nel Partito Socialista Allemandi dichiara di essere sempre appartenuto alla corrente lombardiana, la sinistra del partito: si dimise quando vide che anche il P. S. I. “faceva delle cose che non andavano bene”. A Bra le due persone più importanti della politica erano Brizio (P. S. I.) e Fraire (D. C.) che, racconta Allemandi, si scontravano duramente durante la campagna elettorale salvo poi formare sempre il centro – sinistra. Ad Allemandi non piacque la cosa e si dimise dal P. S. I.; in seguito “scoppiò la bomba Craxi” con la fine generale del partito. Spera, alle elezioni politiche del 2006, in una vittoria di quelle che che lui definisce “le sinistre” (preferirebbe parlare di sinistra, unitaria).
Uscito dal P. S. I, nel 1991 entra nella Lega Nord che, secondo Allemandi, “aveva un modo e delle idee che facevano presagire un partito o un movimento radicato al Nord, che voleva difendere gli interessi del Nord, pur rimanendo nell’unità nazionale, cosa che poi non avvenne”. Nei ricordi di Allemandi riemergono gli attacchi di Bossi contro Berlusconi poi disattesi.
Quello che però Allemandi afferma di non gradire nella Lega Nord era Borghezio (“non fui mai d’accordo con Borghezio”) perché ha sempre dimostrato di essere una persona incivile e maleducata. La sua uscita dalla Lega Nord è dovuta alla presenza nel partito di gente come Borghezio, persone alle quali, quando affrontavano il discorso sugli extracomunitari, Allamandi diceva di portare avanti il discorso sull’Italia stato sovrano, sul fatto che “non si viene avanti come i barbari, magari senza un certificato sanitario” (i rifugiati politici devono avere adeguata assistenza), senza però rivolersi platealmente con insulti e cose simili perché si sfocia nella maleducazione. Discorsi maleducati Borghezio li ha compiuti anche al Parlamento Europeo e doveva essere cacciato via dal presidente del Parlamento Europeo. Già ai tempi di Domenico Comino accadevano cose simili, anche nel Parlamento Italiano: i cappi, gli insulti (a volte anche da parte della sinistra) non sono ottimi esempi per chi segue la politica, ma evidenziano poca serietà.
Abbiamo bisogno di più serietà, una maggior unità nella sinistra per vincere.
Nel 1991 la Lega Nord in provincia di Cuneo era agli inizi: la sezione di Bra ha avuto un grosso appoggio da parte di Miroglio (industriale locale, canidato della Lega Nord) che finanziò molto il partito. In quel periodo tutto faceva presagire un movimento completamente a difesa della gente, dei lavoratori: radicato più al Nord, ma incisivo. Sembrava che le cose dovessero andare meglio, ma poi tutto degenerò, a cominciare dall’alleanza con Berlusconi (“nel suo annuncio di scesa in campo ha avuto gli stessi atteggiamenti di Mussolini nel filmati della Luce”).
Quando Bossi si alleò con Berlusconi, Bossi ha svenduto molto di quello che aveva e Berlusconi ne ha approfittato “per fare tutto quello che legale non è” .
Allemandi si dichiara contento di essere uscito dalla Lega Nord: molti l’hanno accusato di tradimento, di disfattismo.
L’uscita dalla Lega Nord viene ricordata da Allemandi partendo dalla presenza di due sezioni in zona, nel 1991: una ad Alba e una a Bra. Litigi all’interno della sezione di Alba portano al suo commissariamento: due iscritti della sezione albese vanno a Bra e si iscrivono nella sezione locale. Allemandi ricorda i banchetti, le riunioni alle quali partecipava spesso. Quando si insedia Cota a Torino come presidente del Consiglio Regionale, viene invitato a Bra: i due albesi iscritti nella sezione di Bra andarono a ricevere Cota con la divisa delle Guardie Padane. L’episodio, che suscitò una sorta di scandalo con articoli anche sui giornali locali, venne giudicato da Allemandi come una cosa che si poteva evitare, vista la presenza delle istituzioni pubbliche. Probabilmente, dice Allemandi, i due albesi si sono offesi e iniziò a diffondersi la voce della sua espulsione. Nel frattempo c’era stato l’accordo Bossi – Berlusconi e la sfiducia al vecchio segretario di sezione a Bra (Davico). Allemandi chiese spiegazioni sulle voci della sua espulsione al nuovo segretario e si autosospese dal partito ma a distanza di tre anni nessuno gli ha ancora chiarito la cosa.
Per Allemandi, soprattutto in Veneto, molti voti ex D. C. andarono alla Lega e a Forza Italia perché il Nord Est è sempre stata una zona cattolica: trovandosi un leader come Bossi che garantiva un certo benessere, la parte avanzata e ricca della ex D. C. si è rivolta alla Lega. La Lega è stata vista come l’ancora di sicurezza del loro benessere.
A Bra, per Allemandi, la politica non si è mai fatta nelle sezioni, ma negli istituti bancari etc…: “qui la gente è un po’ come nel Sud”, con i favoritismi, le clientele. Così emerge, in questi ultimi mesi, l’Udc che è, in pratica, il rimasuglio della ex D. C. e potrebbe riportare in vita il grande centro. Nella Lega Nord c’erano e ci sono dei deputati che rasentano il bigottismo clericale: il cardinale Maggiolini (cardinale di Como) è molto vicino alla Lega Nord.
Davico (eletto al comune di Bra per la Lega Nord) ha preso molti voti perché insegna all’istituto salesiano, ma è più un voto personale che non altro. Per Allemandi l’elettorato braidese, però, è come un camaleonte: vive di clientelismo e di favoritismo (“siamo come nel Meridione”). In questo modo chi si presenta alle elezioni è guidato unicamente dalla fame di potere, non dalla vera passione politica.
Sul discorso sindacale Allemandi ricorda il discorso sulle gabbie salariali che la Lega proponeva perché al Sud costava meno il riscaldamento, il cibo etc… : ma Allemandi disse che il lavoro svolto è identico se fatto dall’operaio del Sud e da quello del Nord, la fatica è uguale per tutti due quindi devono percepire il medesimo stipendio, altrimenti si attua una discriminazione. In ambito sindacale si deve garantire i diritti di tutti, premiando però chi è più bravo. Alcuni, secondo Allamandi, ritengono che il sindacato sia il salvacondotto per fare ciò che si vuole in fabbrica: lui, invece, ha sempre ritenuto che il sindacato qualifica una persona come operaio, la quale ha il dovere di fare il suo lavoro e fare rispettare i propri diritti. (secondo lo statuto dei lavoratori, diritti e doveri dei lavoratori e dei datori di lavoro).
Per Allemandi le linee del partito si potevano discutere: non si parlava, inizialmente, di devoluzione, bensì di secessione; la si cavalcava molto per il malcontento che c’era nei partiti sia di destra che di sinistra, pensando che, forse, una macroregione al Nord (una federazione simile a quella elvetica) avrebbe potuto creare un’occasione in più nel mondo del lavoro, per i giovani. Tutto questo, però, intaccava i pilastri fondamentali della Costituzione.
La linee guide della Lega Nord a Milano rasentavano allora il massimalismo del P. C. I. un tempo: se il capo va in una direzione tutti gli vanno dietro; Allemandi, invece, propose di ragionare sulle decisioni, anche se arrivavano dall’alto. Nella Lega Nord, invece, dice Allemandi, è ancora così adesso: “chi grida più forte ha ragione”. Quando Borghezio parla nelle roccaforti della Lega Nord e dice delle cose assurde, “tutti vengono presi dall’esaltazione” sullo stile della folla che ascolta Mussolini. Per Allemandi la gente, quando viene infatuata in questo modo, perde l’uso della ragione. In questi casi è necessario fermarsi e ragionare.
Ribadisce di essere contento della sua uscita perché l’attuale Lega non gli piace affatto e con la devolution si va ad intaccare molti punti della Costituzione, mettendo a repentaglio l’unità dello Stato. Si dovrebbe invece, per Allemandi, eliminare la corruzione politica, togliere la mafia (“è ora di smetterla che a Napoli, le forze dell’ordine vanno in certi rioni per arrestare dei delinquenti e si trovano la popolazione contro”). La mafia, per Allemandi, persiste perché dà quello che lo Stato non dà, cioè un lavoro, che però è illegale.
Da qui Allemandi inizia una lunga critica contro gli Stati Uniti d’America come paese imperialista e colonialista.
Allemandi tiene e ribadire che non ha mai chiesto nulla allo Stato, né ha mai approfittato della sua posizione all’interno del Comune di Bra e ricorda come, nel dopoguerra, lui e la sua famiglia vivessero in 5 dentro un’unica stanza: recatosi con il padre al Comune di Bra per chiedere l’assegnazione di un alloggio popolare, Allemandi ricorda “ci risposero: signor Allemandi, noi le case le diamo solo ai meridionali… adesso le diamo agli extracomunitari… oppure ai quei delinquenti meridionali che lo Stato ci manda in soggiorno obbligato”. A tal proposito ricorda coloro che venivano inviati in soggiorno obbligato a Bra “che il Comune manteneva con i soldi dei cittadini”, mandandoli a mangiare al ristorante, mentre “c’era gente nostra che non aveva di che vivere e il Comune non interveniva”.
Allemandi fa quindi una breve critica sulla mafia: il 41/bis deve essere realmente duro, che impedisca contatti dei mafiosi con l’esterno, il carcere dovrebbe aiutare a rientrare nella società (il pentitismo non ha pagato). La Mafia è forte perché ha l’appoggio dei poteri forti (Stato, politica etc…). Allemandi riporta le testimonianze di alcuni meridionali immigrati al Nord che confessavano l’esistenza della mafia come fatto naturale. Se lo Stato non è in grado di debellare questo fenomeno significa che qualcosa non funziona: “bisognerebbe fare in modo che il Meridione prendesse gusto nel ritrovarsi nella vera politica, quella della giustizia”. Ci vuole giustizia sociale se si vuole parlare di democrazia. Bisognerebbe iniziare dal Parlamento, per poi scendere alle Regioni, Province e Comuni per dare un segno di novità.
Per riprendere la crescita, l’Italia, secondo Allemandi, dovrebbe prima di tutto disfarsi di tutte le mafie (secondo Allemandi la Sicilia potrebbe vivere tranquillamente di turismo, ma preferisce, in alcuni casi, convivere con la mafia per comodità).
In tema di federalismo, Allemandi critica quello attuato dalla sinistra: non per i contenuti, ma perché ha toccato i pilastri della Costituzione che devono essere modificati solo ed esclusivamente con il pieno appoggio del Parlamento, altrimenti rischia di trasformarsi quasi in un colpo di stato.
La devolution portata avanti dalla destra, invece, è nata sull’onda del ricatto: la destra ha dimostrato, pur criticando la sinistra per la mancanza di unità, è andata avanti ricattandosi l’uno con l’altro (Lega – Udc) e Berlusconi ha dovuto accontentare uno e l’altro per poter andare avanti. La devolution, in definitiva, è frutto di un ricatto e fatta com’è è una riforma, secondo Allemandi, fatta male perché “hanno fatto prima il tetto senza fare i pilastri: la prima cosa da fare era chiedere l’autonomia fiscale”, senza la quale è impossibile portare avanti una devolution reale.
Come membro di Legambiente, Allemandi crede di essere controcorrente dichiarandosi favorevole alla Tav in Val Susa, previo un dialogo tra le parti coinvolte; l’opera è essenziale per rimanere in Europa e per limitare il traffico e l’inquinamento della zona. Importante è sicuramente la tutela della salute dei valligiani.
Un biasimo a Bertinotti: ha avuto un buon risultato alle elezioni primarie, ma ha un seguito di No Global che segue le manifestazioni per creare disordini e crea un ostacolo per l’Unione. Questi ragazzi non fanno politica, ma fanno solo del male, a se stessi ma anche alla società.
Intervista a Carlo Benigni - 9/12/2005
Intervistatori: Fabio Dalmasso
Carlo Benigni è responsabile relazioni esterne della Banca Regionale Europea: la sua vita politica l’ha visto prima attivo nelle fila del Partito Repubblicano Italiano (nel 1967 è segretario nazionale della Gioventù Repubblicana) , poi in quelle della Democrazia Cristiana, di cui ha fatto parte dal 1974 sino alla sua dissoluzione. Ha avuto rapporti di amicizia e collaborazione con Giovanni Goria. Attualmente è vicino alla Margherita, pur non ricoprendo specifiche responsabilità di carattere politico
In una delle ultime edizioni del seminario annuale di formazione dei giovani D. C. a Vinadio (CN), nel 1989 (o 1990) era stato invitato l’onorevole Domenico Comino , allora autorevole esponente della Lega Nord, per parlare della Lega. I giovani della Democrazia Cristiana erano molto attenti a cercare di capire quali fossero le trasformazioni in atto, anche i segnali deboli di cambiamento. Comino non destò molto interesse nei giovani democristiani: forse, ammette Benigni, “sottovalutammo la capacità dirompente del messaggio della Lega rispetto al tradizionale elettorato democristiano e più in genere moderato”.
La Lega Nord, in provincia di Cuneo, ha mietuto consensi nella piccola borghesia dei ceti urbani (l’artigianato, il piccolo commerciante): la prima ragione del suo successo è dovuta alla paura di tutti coloro che ritenevano di essere destabilizzati dai cambiamenti che si profilavano. C’era un sentimento di delusione per quanto riguarda il decadimento del livello morale della vita politica italiana che, però, dalle nostre parti non era così evidente. In provincia di Cuneo, afferma Benigni, “la DC si è sempre attenuta a principi e prassi di correttezza. La crisi della DC cuneese richiede una chiave di lettura politica, che è la seguente: il venir meno degli equilibri interni tra le diverse componenti, che avevano garantito stabilità per oltre vent’’anni e si vennero a modificare con uno squilibrio eccessivo a favore della componente coldiretta-andreottiana”.
Le seconda ragione dell’espansione della Lega è da leggersi nel suo successo presso la piccola proprietà agricola: secondo Benigni, nella seconda metà degli anni ’80, la Coldiretti ha iniziato a trascurare il suo mestiere essenziale, cioè quello sindacale, per svolgere un ruolo di direzione politica e di mediazione, un ruolo che, però, non era suo. Molti dei quadri Coldiretti vennero repentinamente impegnati nell’attività politica ed amministrativa; ma le professionalità non si improvvisano. Le migliori energie della dirigenza coldiretti furono assorbite in attività estranee alla mission del sindacato agricolo, e lo svolgimento dei compiti sindacali fu in qualche modo messo in ombra.
Tutto questo in un momento in cui avvenivano oscillazioni di prezzi, liberalizzazione dei mercati etc… che determinarono nella categoria dei coltivatori una sensazione di incertezza e di paura, una reazione di chiusura, in sostanza una disponibilità a recepire le lusinghe corporative della Lega, che soprattutto nella fase iniziale, dice Benigni, era e ci appariva un epifenomeno rozzo e tribale.
Il fare appello, da parte della Lega Nord, a una base di valori “comuni”, come la piemontesità, il rifiuto del centralismo, il rifiuto delle tasse (richiamo molto importante per i coltivatori) si inserì in un vuoto politico destinato ad essere riempito da qualcuno.
La Coltivatori Diretti non sottovalutò affatto il pericolo di essere emarginata da un eventuale nuovo sindacato agricolo di stampo leghista e prese rapidamente le distanze dal quello che rimaneva della D. C. per rendersi disponibile a un dialogo con la Lega (in nome di interessi comuni). Si aprì un periodo di non belligeranza, a fine anni ’90, tra CC. DD. e Lega: in seguito la CC. DD. ha fornito quadri anche a Forza Italia.
Più tardi la Coldiretti si è rinnovata e ha ripreso la prospettiva sindacale senza condizionamenti politici. Il mancato successo all’elezione di Sindaco di Cuneo di Angelo Giordano (presidente regionale della Coltivatori Diretti), nel 2002, dimostrò la tiepidezza con cui la base associativa ed i quadri intermedi guardavano a eventuali candidature espresse dall’interno dell’organizzazione.
Possiamo quindi individuare fasi diverse della collocazione della Coldiretti: prima era uno dei pilastri della DC (in provincia di Cuneo, dal 1958 al 1981, la DC fu governata dall’ asse Sarti – Baldi); l’uscita di scena di Sarti, nel 1981, in seguito alla sua presunta iscrizione alla P2, mise in crisi l’area di cui era leader e lasciò spazio alla Coldiretti e alle tendenze egemoniche degli allora colonnelli CC. DD. (Lombardi, Carlotto, Tealdi). Emarginato poco tempo dopo anche il senatore Baldi, la Coldiretti, sempre più legata alla corrente andreottiana, dilagò nel partito, mobilitando la sua capacità organizzativa allo scopo di incrementare il tesseramento. Alla fine degli anni ’80, aveva completamente egemonizzato il partito, di cui solo un terzo aveva come riferimento la sinistra di De Mita, Goria e Mazzotta. Intanto avveniva un declino del ruolo dirigente e della capacità di rappresentanza e di sintesi della D C.: il ceto urbano, la borghesia, delusa dai partiti a livello nazionale, vedeva il partito (che aveva sempre mediato fra la cultura cattolico – liberale, quella cattolico-sociale e quella laica-moderata) in mano alla Coldiretti, con le terze o quarte file promosse a classe dirigente. La DC cuneese smise, in qualche modo, di produrre politica alta, e non apparve più in grado di gestire e interpretare le speranze e il cambiamento, come nel passato. Per la Lega si aprivano inaspettate prospettive di sviluppo.
Le successive fasi videro dunque un certo avvicinamento tra Coldiretti e Lega Nord, soprattutto per paura, da parte della CC.DD. di essere superati da un sindacato agricolo leghista.
L’ultima fase, quella attuale, vede una Coldiretti correttamente riposizionata sul suo ruolo prettamente sindacale.
La Lega Nord esprime, per Benigni, tutto quanto c’è di rifiuto verso l’altro, verso l’esterno, verso i valori che fanno civile una comunità (l’attenzione per l’altro, per i deboli, la consapevolezza dei doveri civici, il senso di appartenenza alla comunità nazionale); il messaggio della Lega è un messaggio irrazionale, urlato, assordante, volto a rafforzare in ciascuno i propri pregiudizi.
L’accertato passaggio di voti dalla DC alla Lega Nord, per Benigni, deve essere analizzato partendo dal significato che aveva il voto agricolo organizzato: un voto di valore ma anche di scambio, basato sui privilegi. La D C, a un certo punto, non fu più in grado di garantire certi privilegi e la Lega Nord apparve come l’interlocutore politico che dava le migliori garanzie di tutelare la categoria.
Benigni sottolinea il cambiamento con queste parole: “La cosa è normale: gli agricoltori furono giolittiani al tempo di Giolitti, fascisti al tempo del fascismo, democristiani con la DC, leghisti e di Forza Italia negli anni del berlusconismo trionfante, comunque governativi”.”.
Il crollo della Lega Nord, secondo Benigni, avviene quando certi slogan si sono rivelati come meri espedienti propagandistici. Ci sono diverse stagioni della Lega: il nostro contadino vuole avere un mercato il più protetto possibile per i suoi prodotti e vedere tutelata la sua professionalità. Tutto questo non trovava nulla di corrispondente nei miti pagani, nel Dio Po della Lega nella sua fase successiva. Tutti questi riti non convincevano il nostro elettorato contadino.
La Lega ha ottenuto numerosi consensi quando molti ritenevano che votarla significasse dare un segnale molto chiaro alla precedente dirigenza politica: era uno strumento per esprimere il dissenso. Un voto, però, negativo, quasi come dire: “Non vi voto più, ci avete delusi, e allora votiamo questi qui, così ve la facciamo vedere”. Un voto essenzialmente di protesta.
Quando la Lega passa alle proposte programmatiche, si vede quanto queste siano inconsistenti. E infatti, a livello di amministrazioni locali, il ruolo della Lega non è di particolare rilievo.
Benigni spera che il futuro porti alla riduzione del voto leghista, come voto residuale più che di prospettiva. Potrà permanere uno zoccolo duro, formato da quanti respingono l’idea di una società fondata sulla convivenza tra diverse culture. La provincia di Cuneo non ha emergenze in fatto di immigrazione: qualora dovessero manifestarsi delle tensioni sociali legate a tale fenomeno ci potrebbe essere una reazione non razionale di rifiuto, una rilettura di Oriana Fallaci trasformata in linguaggio tribale, fatta di slogan, dicendo alla gente ciò che la gente vuole sentirsi dire.
Benigni prevede che il Polo perderà le elezioni del 2006, e si augura che il centro – sinistra non scopra affinità con la Lega, visto che mancano basi comuni di valori.
Per Benigni nella Lega Nord esiste una contraddizione: da una parte fa riferimento al Dio Po, alla cultura celtica; dall’altra si richiama ai valori della fede, con una lettura di tipo lefebvriano. La sensazione di Benigni è che i sentimenti veri del leghista siano assolutamente incompatibili con quelli della Chiesa cattolica: la Lega è fondata sulla chiusura, sull’egoismo, sul razzismo velato. La Lega si presenta come cattolica a scopo strumentale. Da questo emerge una volta di più l’importanza del ruolo laico storicamente svolto dalla Democrazia Cristiana, interprete delle diverse sensibilità, che ha saputo resistere, in determinate circostanze. alle intromissioni della Chiesa (vedi operazione Sturzo a Roma). Partito laico, democratico, popolare, ispirato alla sensibilità cattolica senza essere mai un partito clericale. Grande contenitore in cui coesistevano istanze diverse; esperienza conclusa e irrepetibile, ma legata indissolubilmente ad una grande stagione di sviluppo civile ed economico dell’Italia.
Quando la Lega iniziò ad avere successo , afferma Benigni, la DC. (della quale faceva parte) sottovalutò il fenomeno, senza capire appieno il pericolo che conteneva: “Eravamo troppo impegnati a farci la guerra tra di noi [della DC. N. d. r.]”. Era il periodo di Tangentopoli : un momento tragico che vide anche la DC locale subire le conseguenze della crisi nazionale, di cui peraltro non aveva colpa. La DC cuneese riteneva talmente rozza la Lega da non immaginare il suo successo; la sua classe nuova dirigente era inadeguata rispetto alle nuove sfide.
In provincia di Cuneo, peraltro, non c’è stato un cambiamento così dirompente del personale politico ed amministrativo. Il personale DC si è disperso ai quattro venti, prevalentemente verso il centro-destra, ma ha saputo mantenere uno stile e un linguaggio non dimentico delle origini; malgrado tutto, sembra rimasta una base comune. Per gli ex DC l’attuale situazione è dolorosa, soprattutto per chi è nel Polo, caratterizzato da una cultura maggioritaria e da una visione aziendalistica. profondamente estranee al dna democristiano.
Certi vi sono stati passaggi di quadri dalla DC alla Lega, ma tutto sommato di rilievo marginale.
La relativa povertà di classe dirigente della Lega, messa confronto con la sua (sempre meno) ampia base elettorale, viene letta da Benigni in questo modo: il consenso alla Lega è fondato su elementi che non sono costitutivi di una cultura di governo, ma esprimono chiusura, arroccamento, sterile rifiuto del cambiamento. Non c’è un reale progetto di sistema della Lega: la classe dirigente di un partito si produce anche attraverso una selezione culturale, nel quadro di un sistema di valori e di obiettivi che consente di avere una visione della società. Tutto questo nella Lega non c’è, e si vede dove la Lega è al potere.
Negli ambienti imprenditoriali la Lega non mi sembra considerata tra gli interlocutori privilegiati, ma piuttosto un fenomeno che passerà. Alla fine il vero leghista è Silvio Berlusconi: egli pensa gran parte delle cose che lascia dire alla Lega ed applica una visione soavemente atea della politica, nella quale il marketing diventa un valore e non uno strumento.
Franco Miroglio, imprenditore albese di livello internazionale, inizialmente ha creduto nella Lega e ne è stato anche parlamentare, ma ben presto ha compreso che le cose erano ben diverse da come aveva inizialmente sperato, e ne ha tratto le conseguenze.
La Lega è un partito autocratico. Personaggi come Borghezio, Calderoli, Castelli non possiedono neppure le capacità che sono precondizione rispetto all’esercizio di ruoli di governo.
C’è un’assoluta mancanza di cultura istituzionale, che va dall’ignoranza consapevole della divisione dei poteri al non riconoscimento del ruolo della magistratura.
La Lega ha fondato una propria banca in Lombardia, ma in due anni ha rischiato di fallire perché metà del capitale è andato in prestiti senza senso, violando tutte le regole. L’unico esperimento finanziario della Lega si è rivelato un fallimento totale: dilettanti al potere.
Sindacato Padano : anche in quel caso è stato un voto espressione di sensazioni. In un momento in cui si avverte una crisi nel mondo del lavoro, in cui la presenza di immigrati è percepita come una minaccia per la manodopera locale e il sindacato confederale tradizionale evita di scendere sul piano emotivo, rimanendo su un discorso di razionalità, è comprensibile che parte della popolazione operaia o impiegatizia si sia sentita non adeguatamente rappresentata. In pratica, quando il contadino che ha il doppio lavoro (campagna e Michelin) vede che i prezzi in agricoltura scendono, che rischia di diminuire l’occupazione, vede una presenza di immigrati, ritiene che il sindacato non tuteli il suo potere di acquisto, può anche cedere alle lusinghe di un sindacato alternativo. Che poi si è rivelato essere un mero espediente propagandistico, senza sostanza e, infatti, non ha tenuto.
La Lega è il rifiuto della modernità e della contemporaneità: attraverso gli appelli ai più diversi egoismi evoca sensazioni ed incoraggia nostalgie. Come, ad esempio, la battaglia contro l’euro: è di tutta evidenza che senza l’euro noi saremmo, sotto il profilo monetario, in una situazione di tipo sud-americano.
La Lega si fa interprete del sentimento di frustrazione di una certa imprenditoria che si trova a dover fare i conti con il cambiamento degli scenari competitivi e con la accertate carenze dello Stato, ad esempio nel campo delle infrastrutture e dei servizi. La piccola e media impresa, con la globalizzazione, si è trovata a confrontarsi con problemi di difficile soluzione e, per alcuni, la Lega è stata una modalità per esprimersi. La fotografia delle difficoltà offerta dalla Lega è forse apparsa a qualcuno come una soluzione.
Sul piano politico la Lega è una protesi del berlusconismo, che ha dato una risposta in termini populistici e di marketing ad una crisi oggettiva del sistema politico tradizionale.
Ruolo della Chiesa: una parte del clero era neutrale, anche se inizialmente vi furono aree di simpatia leghista. In seguito tale simpatia venne meno con le cerimonie pagane della Lega. All’inizio, comunque, ci fu una tolleranza del clero locale, che era abbastanza pluralista; le maggiori aperture avvennero da parte del clero di campagna. Quando poi la Chiesa capì cosa era davvero la Lega prese le distanze.
Il futuro: dipende dalle prossime elezioni. Se il Polo perde potrebbe avvenire la disgregazione di Forza Italia, che è fondata su una persona, con un rafforzamento dell’area ex DC. La Lega ha uno zoccolo duro in alcune regioni del Nord, ed una sconfitta elettorale potrebbe innescare un difficile processo di ricambio di classe dirigente.
A giudizio di Benigni, i tratti distintivi della lega attuale sono, sul piano dei valori, il rifiuto della dignità della persona in quanto persona; una visione giustificatrice dell’egoismo sociale sopraffattore; la propensione a tollerare, se non incoraggiare, comportamenti di illegalità fiscale; il rifiuto dello Stato nazionale unitario, dell’Europa, della modernità, di tutto quanto sia diverso rispetto ad uno stereotipo sociale e culturale.
La Lega è compatibile con il berlusconismo, essendo entrambi ispirati al leaderismo e caratterizzati da una totale assenza di democrazia interna. Parlare alla pancia della gente è molto più facile che parlare alla ragione.
I codici di valori della Lega sono inadeguati per un paese che vuol essere moderno.
La Lega è stata un sintomo diventato malattia, e forse si avvia all’esaurimento del ciclo. Il referendum sulla devolution fallirà e la Lega avrà un insuccesso totale di immagine: la sua ragione sociale verrà quindi meno.
L’espressione dell’antipolitica, di un malessere, un rifiuto. Ha dato una sorta di legittimazione politica a chi era emarginato dalla politica per mancanza di linguaggio, mancanza di inserimento. Sono stati dei cattivi maestri. Può però anche succedere che i giovani leghisti possano rinnovare la Lega.
Il momento di crisi, per la Lega, è cominciato probabilmente con la svolta neo-pagana di Umberto Bossi.
Attualmente, in provincia di Cuneo, sembra difficile ravvisare una precisa proposta programmatica ed una visione amministrativa della Lega, non priva di potenziali tensioni interne. La verifica arriverà inesorabilmente in seguito ai risultati delle elezioni del 2006.
Intervistatori: Fabio Dalmasso
Aldo Rabbia, attuale Sindaco di Mondovì, entra in politica nella fine novembre del 1994: all’epoca Rabbia lavorava a Messina (per il gruppo Rodriquez) e faceva il pendolare tra Mondovì e Messina.
Nel 1994, a Mondovì c’era stata la caduta dell’amministrazione guidata dal professor Giusta e, in seguito a un periodo di commissariamento, a fine novembre 1994 si erano svolte le elezioni. Andarono al ballottaggio i candidati sindaco Riccardo Vaschetti, che allora era un esponente della Lega Nord, e l’avvocato Viglione.
Tra il primo e il secondo turno delle elezioni Vaschetti andò a casa di Aldo Rabbia, che non lo conosceva personalmente, ma conosceva uno dei suoi candidati consiglieri, e gli propose, in caso di vittoria, di entrare in giunta come assessore tecnico (o esterno) per la parte finanziaria (bilancio, personale etc…), vista l’esperienza di Rabbia nel settore privato per aziende multinazionali quotate in borsa.
Rabbia accettò (“amo fare esperienze nuove”), anche se non aveva mai avuto esperienze politiche in precedenza: non è mai stato iscritto a nessun partito, anche se ammette la sua formazione liberale.
Vaschetti vinse il ballottaggio e Rabbia diventò assessore: il 4 dicembre del 1994 la nuova giunta iniziò i lavori e uno dei primi impegni fu quello di redigere il bilancio entro la fine dell’anno.
Vaschetti guidava la lista della Lega Nord e aveva come alleati il Partito Popolare Italiano (P. P. I., ex D. C.), con una maggioranza costituita da 6 e 6. Dopo tre anni, nel novembre del 1997 ci fu la crisi tra P. P. I. e Lega Nord, che scatenò una reazione a catena: a Cuneo e anche a Mondovì avvenne che dove il P. P. I. era in maggioranza estromise gli assessori della Lega. A Mondovì Vaschetti, per contro, estromise gli assessori del P. P. I.: il 17 novembre venne votata la sfiducia al Sindaco Vaschetti (che diede le dimissioni cinque minuti prima della votazione) e l’amministrazione cadde.
Bruciato dalla sfiducia votata in consiglio, Rabbia decise di appoggiare la ricandidatura di Vaschetti con una lista civica denominata Insieme per Mondovì: nella primavera del 1998 Vaschetti vinse nuovamente il ballottaggio (questa volta contro il candidato di centro – sinistra Marco Botto) con l’appoggio esterno di Forza Italia (il cui candidato sindaco era Stefano Viglione che, però, non andò al ballottaggio, ma entrò comunque in giunta).
La nuova amministrazione (formata dalla Lega Nord, lista civica e Forza Italia) durò 4 anni. Durante questo periodo Vaschetti fu estromesso dalla Lega Nord al congresso di Varese per contrastanti vedute sulle alleanze da effettuare, ma terminò comunque il suo secondo mandato regolarmente, nel 2002.
Nel 2002 Rabbia decise di provare a candidarsi Sindaco, appoggiato da alcune liste di centro – destra (Forza Italia e due liste civiche, Lista Vaschetti per Mondovì e Insieme per Mondovì, An e Udc). La Lega presentò un suo candidato, visto che non fu trovato un accordo con le forze di centro – destra (“la Lega era al Governo, ma non trovammo l’accordo, visti anche i trascorsi… motivi molto locali, più che nazionali”); il candidato della Lega Nord era Roberto Conti, che ora, però, non fa più parte del partito.
Rabbia vinse al primo turno.
Rabbia non fu mai un vero rappresentante della Lega Nord: la prima volta era assessore tecnico del Sindaco Vaschetti (leghista); la seconda volta era esponente di una lista civica (con una posizione politica non marcata, anche se, comunque, tendenzialmente di centro – destra).
La Lega Nord a Mondovì raggiunse percentuali molto elevate, fino al 30%: Vaschetti fu l’uomo della Lega Nord a Mondovì, rappresentò l’introduzione e il successo del partito. E organizzò incontri e comizi con Bossi e Maroni.
Il distacco dalla Lega Nord da parte di Vaschetti si basava sulla volontà del partito di tendere verso il centro – sinistra, mentre lui era favorevole a un’alleanza con il centro – destra.
Mondovì aveva inoltre un senatore della Lega Nord, Lorenzi, che era anche consigliere comunale e che ottenne un notevole finanziamento per il politecnico di Mondovì (8 miliardi e 100 milioni).
In seguito la Lega Nord perse molti voti anche a Mondovì: dal 30% è scesa al 6% circa.
La Lega vinse soprattutto nelle frazioni e nei quartieri più periferici, meno nel centro della città (caratteristiche elettorali molto simili a quelle della D. C.), quindi senz’altro c’è stato un travaso di voti dalla Democrazia Cristiana alla Lega Nord; a Mondovì, secondo Rabbia, i voti D. C. andarono alla Lega Nord e solo successivamente a Forza Italia. A Mondovì la D. C. aveva sempre avuto molto successo, seguita dal Partito Liberale (esponente locale: Raffaele Costa): l’arrivo della Lega Nord, con Vaschetti, che era uno sconosciuto, giovane, rappresentò un cambiamento notevole.
Il fenomeno della Lega Nord fu caratterizzato dal trascinamento di Umberto Bossi, una voglia di federalismo, indipendenza etc…: una sorta di rivolta contro i partiti organizzati, la Lega si presentava più come un movimento destabilizzante. Poi assunse atteggiamenti deleteri come l’introduzione delle Guardie Verdi che possono essere controproducenti e allontanare l’opinione pubblica.
In quel periodo (1994) c’era un consenso notevole, la gente era stufa di certi atteggiamenti e la Lega rappresentava la protesta (Rabbia cita il partito dell’Uomo Qualunque come paragone, anche se con dovute differenze). L’idea del federalismo, della maggiore autonomia dei comuni faceva presa. A Mondovì era presente una sezione comunale molto attiva, con relativo segretario, sempre con gli eccessi rappresentati dalle Guardie Padane, che avevano sicuramente un impatto su una parte di aderenti, mentre su altri sortirono l’effetto contrario, allontanandoli.
In seguito la Lega, per Rabbia, ha insistito troppo su alcuni clichè, perdendo molti voti e mantenendo uno zoccolo duro di voti.
La Lega Nord crebbe come movimento molto in fretta, secondo Aldo Rabbia: nacque dal nulla, crebbe in modo vorticoso e dovette affrontare il problema di non avere dirigenti preparati, con esperienza. I rappresentanti della Lega Nord erano tutte persone nuove (come Vaschetti a Mondovì), non provenivano da altri partiti. Tutto questo genera, inevitabilmente, una mancanza di esperienza amministrativa della cosa pubblica, dell’organizzazione dello stesso partito. Manca una formazione (che invece c’era nei partiti di massa, come la D. C. e il P. C. I.): la Lega era un movimento spontaneo, con una grande base, ma senza una classe dirigente capace, soprattutto senza esperienza.
Rabbia fa un parallelo tra Lega Nord e Forza Italia: ambedue nascono dal nulla, cioè non da un partito presistente, ma Forza Italia parte da un’organizzazione già esistente, di stampo aziendale – imprenditoriale, che diventa partito politico. La Lega Nord, invece, no: non ha un’organizzazione alle spalle, ma è più spontanea.
Aldo Rabbia ritiene che la devolution e il federalismo attuale toglie notevole autonomia pratica ai comuni e chiede un maggior federalismo fiscale.
Intervista ad Antonio Degiacomi - 12/01/2006
Intervistatori: Fabio Dalmasso
Antonio Degiacomi è consigliere di minoranza per il gruppo Federati per l’Ulivo presso il Comune di Alba. Sindacalista Cisl per 26 anni, nel 1997 entra nella segreteria regionale della Cisl dove si ferma due anni per poi fare l’assessore tecnico alla provincia di Cuneo nel settore del lavoro, formazione professionale e cultura.
Antonio Degiacomi premette che, negli anni oggetto dell’inchiesta, lui ricopriva incarichi sindacali all’interno della Cisl a livello provinciale (“prima territoriale, Saluzzo, Savigliano, Fossano, e poi Cuneo”). Su Alba, quindi, può fornire una visione, secondo lui, non troppo dettagliata.
Attualmente la Lega Nord non ha consiglieri in Comune: ha avuto personaggi di un certo rilievo, in particolare Alberto Cirio, che è stato vice sindaco prima nella giunta con De Maria (Democrazia Cristiana); quando la scelta della Lega Nord virò verso la secessione, anche ad Alba la Lega venne estromessa dalla giunta e l’alleanza venne meno. Ci furono poi diversi personaggi minori e si verificarono diverse liti e tensioni all’interno della Lega Nord.
Cirio seguì Domenico Comino nell’A. P. E. e quindi passò a Forza Italia, tornando vice sindaco con il Sindaco Rossetto (Udc) per poi essere eletto alla Regione nel 2005 (attuale consigliere nelle fila di Forza Italia). I nomi più importanti della Lega Nord albese era, oltre a quelli di Cirio, quello di Mario Sandri, enotecnico e coltivatore (frazione Como), che ha molti legami nelle frazioni attorno ad Alba. Anche Sandri è in seguito passato a Forza Italia (“un fedelissimo di Cirio, lo ha seguito in Forza Italia”). Altri esponenti erano l’artigiano Marcarino, l’ex socialista e esponente dell’Associazione Nazionale Alpini Romano Marengo e Mario Della Torre, ex Psi.
Nel gruppo della Lega Nord c’erano alcuni (2 o 3 persone) militanti provenienti dalla sinistra “più estrema”, non di primo piano (uno era delegato sindacale); il resto erano uomini nuovi. Il seguito della Lega Nord era composto da persone senza un percorso politico e il voto era prevalentemente agricolo e di aree di evasione fiscale, attratti dalla protesta sociale e fiscale.
Hanno avuto il primo successo legato abbastanza alle frazioni e alla campagna, grazie anche ai legami sopraccitati di Mario Sandri con il mondo agricolo: Avevano importanti contatti nelle frazioni, nella campagna in particolare nelle frazioni agricole (sono circa 500 gli agricoltori presenti nelle frazioni di Alba).
Degiacomi ricorda come il voto leghista fosse un voto più legato a Cirio e a Sandri che al partito: quando i due entrarono in Forza Italia, infatti, la gente continuò a votare per loro provando l’ipotesi che il voto era essenzialmente un voto dato alla persona e non alla formazione politica. Da segnalare il fatto che nel 1994 si presentò come indipendente nella Lega alle elezioni politiche l’industriale Miroglio, che ottenne un ottimo risultato: il suo collegamento al partito fu, però, estremamente breve.
Il principale successo della Lega Nord ad Alba, quindi, deriva essenzialmente dalle zone dove era forte la D.C., ma, precisa Degiacomi, “D.C. Coldiretti”.
Degiacomi afferma di avere studiato la storia della Coldiretti in generale e in provincia di Cuneo in particolare (era il primo argomento scelto per la tesi di laurea, abbandonato in seguito): la Coltivatori Diretti in provincia di Cuneo, nell’immediato dopoguerra e per i successivi 10 anni, è in forte concorrenza con la Confagricoltura. Pur non essendoci numerosi agrari in provincia di Cuneo, la Confagricoltura aveva un suo insediamento che faceva riferimento a una tradizione liberale e laica (il riferimento Badini Confalonieri, Pli).
Con la comparsa della Coldiretti si attiva un notevole lavoro di appoggio attuato dai parroci (“fu davvero diga contro il comunismo”) che diedero un notevole contributo allo sviluppo della CC. DD.; il settore agricolo, stando ad alcuni documenti citati da Degiacomi risalenti all’epoca fascista e ad altri scritti di un organizzatore popolare giunto dalla Lombardia, veniva descritto come “una massa amorfa”, composta da lavoratori che dovevano affrontare seri problemi anche per le esigenze basilari (riscaldamento, acqua dai pozzi etc…). C’era quindi poco attivismo da parte della maggioranza degli agricoltori, tolta una fase con il Partito Popolare, prima, e con il Partito dei Contadini poi. La CC. DD. si presentava, quindi, come un fenomeno nuovo e, in quell’epoca, di lotta contro il peso del fisco in agricoltura.
In seguito la CC. D.D., nel 1956 – 1957, ottenne le mutue contadine e si espanse sempre di più, assumendo un’organizzazione capillare, paese per paese, sempre molto all’ombra del parroco; il grosso salto per la CC. DD., in provincia di Cuneo, avvenne con l’elezione di Baldi (1958): da quel momento iniziò l’opera capillare dei cosiddetti “mediatori” (classe dirigente D.C. che funge da mediatore tra Stato e gente attraverso erogazioni, sussidi etc…). Doppia funzione della Coldiretti: tutela sulle cose minime, aiuto a sbrigare le pratiche etc… da un lato e funzione politica (all’interno della D.C. ) dall’altro (“un certo protagonismo: costante sottolineatura nella stampa della Coldiretti dei nostri parlamentari, intesi come Col diretti più che DC””).
Secondo Degiacomi il problema della D. C. in provincia di Cuneo fu che, quando avvenne un certo risveglio operaio e si ebbe una crescita dei ceti medi cittadini, il peso delle preferenze CC. DD. all’interno del partito era sovrarappresentato: la componente agricola, benché importante in provincia, era sovrarappresentata (ripresasi dalla crisi della D. C. la CC. DD. percorse, con un ritardo di almeno 20 anni, un cammino simile a quello della Cisl, di autonomia dal partito).
La CC. DD. si rivelò essere un “gigante dai piedi di argilla” dal punto di vista politico, con un collante fortemente legato al clero, nel primo periodo, e di natura clientelare – organizzativa nel secondo periodo (secondo Degiacomi Cirio rappresenta, in parte, la continuità con i metodi clientelari della Coltivatori Diretti). Quando avvenne la crisi della D.C. il sistema della CC. DD. franò, in una fase in cui in agricoltura ci furono grosse trasformazioni e difficoltà e, contemporaneamente, si affacciò la questione dell’immigrazione.
Negli anni 90 avvenne il tracollo dell’Albania e anche in provincia di Cuneo giunsero immigrati e, tra questi, anche alcuni rappresentanti della delinquenza albanese; tutto questo inserì sull’immaginario collettivo della gente, anche se, dice Degiacomi, il voto della Lega Nord, maggiormente diffuso nelle zone più periferiche delle campagne, dove per lungo tempo gli immigrati erano meno presenti: era quindi più un immaginario, una paura dell’immigrato che non la vera e propria presenza di stranieri che guidò, in parte, il voto leghista.
In fasi più recenti, invece, nella zona vitivinicola c’è una forte immigrazione macedone con la curiosa avversione degli agricoltori verso l’immigrazione, salvo poi affermare la diversità e la correttezza degli immigrati che lavorano per loro. Ancora adesso, Sandri (Forza Italia, ex Lega) e soprattutto Cirio portano avanti temi e proteste di tipo leghista-populista insieme ad aspetti clientelari di Forza Italia.
Un’altra componente importante per la Lega Nord fu quella degli artigiani: la presidenza Giuliano era molto vicina alla Lega Nord e ai suoi temi (ad esempio sul tema della protesta fiscale) mentre i commercianti (vicini alla Lega Nord a Cuneo con Stefano Mina, tra i fondatori locali del partito) di Alba no: l’associazione dei commercianti albese è molto autonoma, a volte anche in contrasto con quella di Cuneo, e ha sempre avuto una presidenza (Toppino, ex D.C. e Sindaco di Alba) e una direzione (dedita a operazioni di lobby sulle amministrazioni locali) distanti dalla Lega Nord.
In Alba città, comunque, la Lega Nord non fu mai importante, mentre c’è stato un periodo in cui gli incontri della Lega Nord (in campagna) erano molto frequentate.
Sul piano sindacale, una delle prime disdette che giunsero alla Cisl fu quella di Claudio Dutto (attuale consigliere regionale per la Lega Nord), del settore dei bancari, che era una categoria solidissima, con un seguito molto radicato; Degiacomi afferma che quando c’è stato il successo della Lega, la Cisl, a livello provinciale, ha avuto dei timori (“ventata antipolitica, antipartitica, ma anche tutto quello che aveva un senso di moderazione, di ragionamento sui problemi, non solo di politica urlata, slogan, divisione e contrapposizione”), come la Cgil, la cui parte “protestarla“ è passata dal voto Pci (“o oltre”) al voto Lega Nord, essenzialmente un voto di protesta.
In quel periodo la Cisl arrivava da una fase di grande lavoro di formazione dei quadri sulla spinta dell’84 (grossa divisione dalla Cgil sulle questioni dei punti di contingenza, referendum etc…) quando in due categorie della provincia di Cuneo, quella dei meccanici e quella dei chimici, che avevano perseguito precedentemente il tesseramento unitario, ci fu una diminuzione della presenza Cisl. Da quel momento la Cisl decise di curare maggiormente la motivazione, l’identità, l’adesione alle proposte e alle politiche, allentando sempre di più il vincolo di carattere politico – ideologico. La spinta derivante dall’84, quindi, portò la Cisl a lavorare molto sulla formazione dei militanti e dei deleganti e, con il successo della Lega Nord, non si verificarono grosse defezioni a livello di quadri: al massimo qualche singolo caso.
Diverso fu il discorso delle simpatie percepite, espresse anche nel voto: per l’aspetto protestatorio, per le vicende legate a Tangentopoli, per la capacità della Lega Nord di entrare in sintonia con la pancia delle persone, la Lega Nord ebbe un certo successo e spostò un certo numero di voti.
Nel complesso, però, il movimento sindacale (Cgil – Cisl – Uil) tenne bene l’impatto, grazie alla sua solidità: le defezioni, per la Cisl, furono maggiori nel 1984 (perdite di militanti di sinistra).
Era comunque alta l’attenzione, soprattutto all’inizio, per il problema delle simpatie elettorali che si avvertivano essere, in alcuni militanti Cisl, vicine alla Lega Nord. Il tema della secessione, le manifestazioni di Milano e Venezia segnarono, però, la svolta, facendo crollare il consenso della Lega Nord; il quel momento la Cisl, senza fare una campagna contro la Lega, si trovò a fare martellanti assemblee contro i contenuti espressi dalla Lega Nord. La Cisl ha sempre cercato di mantenere temi di tipo solidaristico, nazionale etc…, ma in quel momento il pronunciamento è stato più esplicito.
Per quanto riguarda la vittoria del Sin.Pa. alla Michelin Degiacomi afferma di non saperne nulla, perché troppo recente: dice, però, che questi episodi, a volte, sono espressione anche di problemi e malesseri, crisi di leadership a livello aziendale e “allora si cavalca una sigla”: ad alcuni viene bene utilizzare una sigla per ottenere voti.
Quello che però, per Degiacomi, è apparso chiaro è che “è più facile creare un movimento politico che un movimento sindacale”, vista l’organizzazione professionale e quotidiana con il mondo del lavoro che non si può improvvisare, ma deriva da una tradizione solida che non si improvvisa. A tal proposito Degiacomi ricorda come il Sin.Pa. si sia affermato in qualche azienda, ma la sua presenza sia sempre stata di scarsissimo rilievo: nella Ferrero è comparso grazie alla presenza di una persona, ma scomparve presto. Più precisamente, il Sin. Pa. si presenta la prima volta nel 1997 ottenendo l’elezione di un delegato (su un totale di 36 delegati) che, in seguito, si dimetterà e passerà alla Uil. Nel 2000 il Sin.Pa. non riuscì a ottenere il numero sufficiente di firme per presentare la lista.
Anche nelle aree come quella manifatturiera e operaia la simpatia per la Lega Nord, che era presente, non si tramutò in una forma organizzativa perché non si può improvvisare un sindacato.
Degiacomi dichiara che non gli risulta esserci stati interessi da parte di qualche azienda nell’appoggiare il Sin.Pa.
Intervistatori: Vittorio Rieser – Fabio Dalmasso
Vista la presenza contemporanea di Antonio Fina (ex operaio alla Michelin dove è stato delegato CGIL per 32 anni) e di Franco Angeloni (ex operaio Ceramista, sindacalista Cgil) si è inizialmente affrontato il tema del Sin.Pa (Sindacato Padano) che alla Michelin ottenne, nel settembre 2000, un inaspettato successo, unico nella provincia di Cuneo.
Bisogna premettere che alla Michelin lavorano persone provenienti da tutta la provincia di Cuneo quindi rispecchia in maniera abbastanza fedele la mentalità e gli atteggiamenti dei lavoratori nella provincia nel suo insieme. La storia sindacale della Michelin risente, per ovvie ragioni, della sua nascita piuttosto recente: lo stabilimento di Ronchi esiste, infatti, solo dal 1963 e, di conseguenza, la storia del sindacato nella Michelin è diversa rispetto a quella di altre fabbriche con una tradizione maggiore (vedi Savigliano - Verzuolo).
La Michelin aveva 5.400 operai, ora ne sono rimasti circa 2.400; nell’1981 5.280, poi crisi con licenziamenti e picco negativo di 1.900. Poi si è risaliti a 3.000, fino agli attuali 2.400 (taglio di servizi:diminuiscono dipendenti e aumentano appalti esterni).
Alla Michelin il Sin.Pa nasce come movimento intorno al 1997 - 1998, in un periodo nel quale i sindacati erano in trattativa con l’azienda sulla domenica lavorativa; in questo contesto si inserisce Valerio Poggi (ora passato nell’UGL) che, con altri due o tre operai che non avevano paura ad esporsi, ha cavalcato la questione della domenica lavorativa facendo propaganda e trovando l’appoggio nel Sin.Pa.
L’accordo arrivò dopo un integrativo abbastanza sofferto, durante il quale il Sin.Pa fece una campagna carica di promesse, anche esagerate e senza possibilità di essere accolte.
Si andò alle votazioni e il Sin.Pa ottenne un ottimo risultato: la CGIL fu il sindacato che perse il minor numero dei consensi (dal 45% scese al 39%), mentre CISL e UIL persero molto. Il Sin.Pa risultò essere il sindacato più eletto per una cinquantina di voti, raggiungendo il 40% circa dei consensi. Nell’esecutivo precedente vigeva un accordo politico: le 10 persone che ne facevano parte erano suddivise in 4 CGIL, 4 CISL e 2 UIL; in occasione delle elezioni 2000 fu invece proposto di formare l’esecutivo in proporzione ai voti: la CGIL mantenne i suoi 4 rappresentanti, il Sin.Pa. ne ottenne 3, mentre la CISL scese a 2 e la UIL a 1.
Con l’azienda vigeva un accordo secondo il quale chi era parte dell’esecutivo faceva il turno giornaliero per essere sempre a disposizione dell’azienda. Il Sin.Pa ha rifiutato questo accordo, ma dopo 3 mesi sono crollati: come ricorda Fina, fare i turni e contemporaneamente il sindacalista è impossibile, soprattutto in un’azienda come la Michelin, composta di tante piccole fabbriche interne, con condizioni diverse da seguire.
Il Sin.Pa faceva uscite clamorose (dette “sparate”), come, ad esempio, richieste salariali di 500.000 mila lire subito, mentre gli accordi si aggiravano sulle 90.000 in due anni. Tra i cavalli di battaglia del Sindacato Padano figurava anche la richiesta di un asilo nido aziendale. Inizialmente poteva contare sull’appoggio di buona parte degli operai, ma lentamente sono stati abbandonati e in un anno sono spariti.
Valerio Poggi in seguito venne espulso dal Sin.Pa: ai tempi Nocera era segretario regionale del Sin.Pa e, in pratica, comandava lui all’interno del sindacato, prima di essere
anch’egli espulso.
Lentamente tutte le persone più importanti del Sin.Pa. ne sono uscite e con quelle rimaste si è attivata collaborazione con altri sindacati, come sui problemi ambientali, ma erano comunque persone poco preparate politicamente. In generale pare che chi abbia aderito al Sin.Pa. avesse una scarsa cultura politica.
Lo scontro tra il Sin.Pa e le altre formazioni sindacali era nella struttura sindacale aziendale.
Dopo 6 mesi c’è stato un accordo, firmato dal Sin.Pa., ma in assemblea dichiararono che non avrebbero dovuto firmarlo e questo ha minato fortemente la loro credibilità.
Nelle successive elezioni il Sin.Pa sparì: l’UGL prese un seggio, circa l’8%, grazie ai voti del reparto Z, dove lavora Vario Poggi e dove c’è molta immigrazione, sia interna che esterna (prima alla Michelin quasi tutti cuneesi, dopo il 1995 si è assunto su tutto il territorio nazionale).
In generale si può dire che nel Sin.Pa non era presente una vera e propria base politica: c’era un vento di protesta e basta, come nella stessa Lega Nord.
Ora il Sin.Pa formalmente non esiste più: c’era un rappresentante a Robilante (Dalmasso) e uno alla Bertello (Borgo San Dalmazzo). Avevano anche presentato dei rappresentanti in alcune aziende metalmeccaniche come la MondialPiston, oppure alla Ferrero, ma non avevano mai avuto successo, solo alla Michelin ha avuto successo.
La Michelin si è trovata in difficoltà: i dirigenti sono anche dipendenti, non hanno saputo come reagire e gestire il Sin.Pa.
Da un punto di vista culturale avevano un notevole appoggio nella società, sui certi atteggiamenti (ad esempio sugli immigrati): i manifesti della Lega rispecchiano molto il sentire comune. Anche se in Michelin avviene integrazione tra immigrati e locali: all’inizio poteva esserci un contrasto che la Lega – Sin.Pa hanno sfruttato, ma poi tutto questo è venuto meno.
Il padronato della provincia di Cuneo è ostile a un sindacato che non garantisce, quindi non vuole il Sin.Pa; il Sin.Pa. era in contrasto con il quieto vivere, l’Unione Industriale non l’ha più voluto. La Michelin sembrava favorire inizialmente il Sin.Pa, ma poi ha perso il controllo della situazione e l’ha bloccato
Nella Michelin e nella Ferrero il sindacato ha sempre avuto poca forza, non ha mai governato realmente la situazione. Lo sciopero nazionale, considerato politico, non riusciva mai. Solo quelli per il contratto avevano una partecipazione reale. Le questioni aziendali vengono gestite dall’azienda.
L’exploit del Sin.Pa. alla Michelin può essere ricondotto a motivi diversi, uno dei quali è la caduta, a livello politico, dell’appoggio della Dc, sulla quale la Michelin aveva puntato tutto.
Esisteva in generale un blocco sociale che era gestita dalla Dc e gestiva tutto: la Michelin si è adattata a questa linea e l’ha portata avanti coi suoi uomini. Gli accordi fatti in provincia di Cuneo risentivano di una certa debolezza sindacale, tolte poche aziende storiche con cultura politico – sindacale.
In Michelin c’è individualismo, gente che faceva l’operaio ma non per necessità, bensì per arrotondare altre entrate.
Quando è crollata la Dc in provincia di Cuneo la Lega ha preso il suo posto.
La storia della provincia di Cuneo è questa: provincia bianca, cattolica, in cui la Dc regnava. Crollata la Dc arriva la Lega. Poi il centro – sinistra con a capo sempre gli ex Dc (strutture che contano, come banche ed enti sono da ex Dc e idem per i Sindaci anche quelli progressisti), sempre comunque con cultura cattolica. Quando è sceso in campo Berlusconi ha preso molti voti dalla Lega, che ha perso molto (anche il centro – sinistra ci ha guadagnato) e oggi ha un ruolo nuovo avendo conquistato molti Comuni tra i quali Cuneo.
La Lega in provincia di Cuneo continua ad avere alcuni esponenti, ma hanno pochi personaggi realmente capaci.
Gli esponenti della Lega vengono dalla Dc. La vecchia classe dirigente Dc si ritrova divisa nei diversi schieramenti, non c’è più una forza che da sola abbia un’egemonia come quella della vecchia Dc.
I vecchi Dc sono andati più nel centro destra (vedi ultime elezioni regionali, in cui centro destra ha ottenuto risultati superiori). Nei piccoli paesi la cultura è di destra, il garantismo fa breccia. Poi l’anticomunismo presente in provincia di Cuneo. Il blocco moderato oggi di Forza Italia (con vecchi Dc) mantiene in parte la sua egemonia.
La Lega non ha esponenti di spicco: è forte alla base, ma debole nella dirigenza.
In provincia di Cuneo il movimento cattolico è forte e certe posizioni esasperate (ad esempio sugli immigrati) non trovano appoggio in certe fasce sociali, cattoliche. Associazioni cattoliche (rete).
Parroci leghisti? No, la Lega è esasperazione, posizione estrema e non può attecchire molto in provincia, che è abituata al moderatismo.
La Lega ha solo Mondovì come Sindaco.
A parte il Pli che aveva qualche ascendente, il resto era tutto Dc.
Conta molto il personaggio e nelle piccole realtà conta parecchio.
La Coldiretti è più vicino al centro – destra, ma non è troppo coinvolta politicamente come con la Dc quando nelle campagne dominava.
Parroci avevano molto potere, facevano da ufficio collocamento per la Michelin.
Michelin ha subito applicato il contratto nazionale e ha fatto specifici accordi aziendali che garantivano stipendi maggiori rispetto alle aziende locali: la filosofia Michelin sconvolge tutta l’economia locale, moltissimi operai vanno alla Michelin e le aziende devono aumentare stipendi per contrastare l’esodo.
Assumeva chiunque, anche se di sinistra: ha assunto bravi sindacalisti, li faceva fare la scuola e li ha promossi capi reparto, creando una situazione difficile anche per gli stessi sindacalisti. Scioperi per questioni interne sono durati mesi, senza che la Michelin cedesse: piuttosto ci rimette, ma non cede.
Quaderni C.I.P.E.C.
n. 1, aprile 1995
Lucia Canova, donna e comunista
Il PSIUP in provincia (Sergio Dalmasso)
n. 2, ottobre 1995
Chiaffredo Rossa, scalpellino
La nuova sinistra nella provincia bianca (Sergio Dalmasso)
Bibliografa sulla sinistra cuneese (Carlo Giordano)
n. 3, novembre 1995
Maria Capello, la ragazza rossa (Cetta Berardo)
Testimonianze di Carlin Petrini e Sergio Dalmasso
Bra fra slanci rivoluzionari e reazione fascista (Livio Berardo)
n. 4, luglio 1996
Le vicende elettorali delle forze politiche cuneesi (1945/1996)
Tabelle, grafici, saggi introduttivi di Felice Paolo Maero e Sergio Dalmasso, grafici di
Marco Dalmasso
n. 5, marzo 1997
Militanti e dirigenti del PCI negli anni '50 e '60 (Pietro Panero, Mila Montalenti,
Mario Romano, Walter Botto, Leopoldo Attilio Martino).
Introduzione di Sergio Dalmasso
n. 6, maggio 1997
Lettere dal confino di Giovanni Barale (1939-1941). A cura di Luigi Dalmasso
n. 7, ottobre 1997
Per ricordare Michele Risso, Atti del convegno, Boves, 1 marzo 1996
(Luigi Pellegrino, Sergio Dalmasso, Agostino Pirella, Franca Ongaro Basaglia,
Pietro Ingrao, Gianna Tangolo, Regina Chiecchio)
n. 8, gennaio 1998
Luigi Borgna
Pietro Panero
Appunti sul PSI-PSDI (Mario Pecollo)
Lo sciopero dei Pumet: Dronero, primavera 1954 (Carlo Giordano)
n. 9, maggio 1998
Il PCI dalla "legge truffa" alla morte del "migliore" (Sergio Dalmasso)
n. 10, luglio 1998
Comunisti nel cuneese, scritti a cura di Giuseppe Biancani (1920-1981), a cura di
Luigi Bertone
n. 11, ottobre 1998
Fascismo oggi, vecchi e nuovi miti (Marco Revelli)
"Incompiuti"
n. 12, marzo 1999
I 95 anni di Lucia Canova
Oronzo Tangolo scritti
Testimonianze di Mario Di Meglio e Sergio Dalmasso
n. 13, aprile 1999
Quell'estate a Ulan Bator (Enzo Santarelli)
Maria Capello, elogio dell'eresia (Sergio Dalmasso)
Oronzo Tangolo (Roberto Baravalle)
Testimonianze sul PSIUP cuneese (Mario Pellegrino, Eraldo Zonta,
Giuseppe Costamagna)
"Incompiuti"
n. 14, maggio 1999
I colloqui di Dresda
La CGIL a Cuneo negli anni '50-'60 (Livio Berardo). Testimonianze di
Francesco Angeloni, Giuseppe Trosso, Marcello Faloppa
"Incompiuti"
n. 15, agosto 1999
1945-1958. Il caso Giolitti e la sinistra cuneese del dopoguerra (Sergio Dalmasso)
n. 16, settembre 2000
1958-1976. I rossi nella "granda". La sinistra in provincia di Cuneo (Sergio Dalmasso)
n. 17, ottobre 2000
1976-1992. Appunti sui partiti politici nel cuneese (Sergio Dalmasso)
n. 18, novembre 2000
Comunisti a Mondovì: Mario Giaccone, Concetta Giugia.
Il secondo "biennio rosso" (Sergio Dalmasso)
Il sessantotto a Cuneo (Sergio Dalmasso)
n. 19, aprile 2002
Il Novecento nella storiografia di fine secolo (Sergio Dalmasso,
Luigi Bertone, Michele Girardo)
Dino Giacosa: la coerenza (Sergio Dalmasso)
Riformismo e riforme nella sinistra italiana (Sergio Dalmasso)
I partiti socialisti, il centro- sinistra, la pianificazione nella
lettura della rivista "Questitalia" (Sergio Dalmasso)
n. 20, aprile 2002
Dalla Bolognina a Pristina: Cronologia di articoli su una resa:
29 ottobre 1998 - 29 maggio 2000 (Beppe Nicola)
Ricordi di Maria Teresa Rossi e di Franco Camicia (Sergio Dalmasso)
n. 21, maggio 2002
1958- 1976. I rossi nella "Granda". La sinistra in provincia di Cuneo
(Sergio Dalmasso): Seconda edizione con breve appendice.
n. 22, agosto 2002
La carovana di Lotta Continua e l'"eterno" problema dell'organizzazione
(Diego Giachetti)
Le sofferenze del PCI torinese negli anni dei governi di unità nazionale
(Ida Frangella e Diego Giachetti)
n. 23, novembre 2002
Le vicende elettorali delle forze politiche cuneesi (1945/2001)
Tabelle, grafici, saggi introduttivi di Felice Paolo Maero e Sergio Dalmasso
n. 24, gennaio 2003
Convegno Antisemitismo, razzismo, nuove destre (Luca Sossella, Luigi Urettini,
Sergio Dalmasso, Saverio Ferrari)
Un altro comunismo? (Sergio Dalmasso)
Unificazione europea? (Francesco Lamensa)
n. 25, febbraio 2003
Comunisti a Mondovì. In ricordo di Concetta Giugia Giaccone.
Lelio Basso nella storia del socialismo italiano (Luciano Della Mea, Rocco Cerrato, Sergio
Dalmasso, Piero Basso)
Rifondare è difficile. Rifondazione Comunista dallo scioglimento del PCI al “movimento dei
movimenti” di Sergio Dalmasso: recensioni, schede, segnalazioni.
n. 26, giugno 2003
La nuova sinistra italiana e la guerra di guerriglia durante gli anni ’60 (Aldina Trombini)
n. 27, gennaio 2004
Comunisti/e a Boves (Bartolomeo Giuliano, Edda Arniani, Carmelo Manduca, Giovanni “Spartaco”
Ghinamo) a cura di Sergio Dalmasso.
n. 28, febbraio 2004
Alberto Manna, Consigliere provinciale. Interventi al Consiglio provinciale di Cuneo (1995-1999)
n. 29, giugno 2005
Come era bella la mia Quarta (Silvio Paolicchi)
Ancora su foibe, fascismo antifascismo (Gianni Alasia)
Piccole storie dentro una grande storia (Enrico Rossi)
I miei amici cantautori (Sergio Dalmassi)
n. 30, ottobre 2005
Rifondare è difficile. Rifondazione Comunista dallo scioglimento del PCI al “movimento dei
movimenti” (Sergio Dalmasso)
n. 31 novembre 2005
Ristampa quaderno n. 7 Per ricordare Michele Risso, Atti del convegno, Boves, 1 marzo 1996
(Luigi Pellegrino, Sergio Dalmasso, Agostino Pirella, Franca Ongaro Basaglia, Pietro Ingrao,
Gianna Tangolo, Regina Chiecchio)
n. 32 marzo 2006
Appunti sul Socialismo Italiano.
A cura di Sergio Dalmasso
n. 33 settembre 2006
Comunisti/e a Boves.
A cura di Sergio Dalmasso
Ciclo: "Marxismo oggi":
- Marx oggi (Gian Mario Bravo)
- Il marxismo nella Terza Internazionale (Aldo Agosti)
- Per una ricostruzione del pensiero marxista (Costanzo Preve)
- Il proletariato in Marx (Cesare Pianciola)
- Il pensiero di Bloch (Laura Boela)
Ciclo: "Le rivoluzioni del '900":
- Rivoluzione francese (Costanzo Preve)
- Rivoluzione sovietica (Massimo Bontempelli)
- Rosa Luxemburg (Cosimo Scarinzi)
- Stalin, Trotskij, Bucharin, Togliatti (Antonio Moscato, Marco Rizzo)
- Rivoluzione cinese (Edoarda Masi)
- Rivoluzione cubana (Enrico Luzzati)
- La Palestina (Guido Valabrega)
continuazione del Ciclo:
- I paesi dell'est (Guido Valabrega)
- Il Sudafrica (Edgardo Pellegrini)
Ciclo: "Marxismo e...":
- Marxismo e femminismo (Nadia Casadei)
- Marxismo e libertà (Ludovico Geymonat)
- Marxismo e ecologia (Tiziano Bagarolo)
- Marxismo e economia (Riccardo Bellofiore)
- Marxismo e religione (Emanuele Paschetto)
- Marxismo e psiconalisi (Mario Spinella)
- Marxismo e nonviolenza (Enrico Peyretti)
Ciclo: "500 anni bastano":
- La storia della conquista (Franco Surdich)
- Il popolo Mapuche - Cile (Nelly Ayenao)
- Gli indiani del nord (Nayla Clerici)
- La Chiesa in America Latina (Giulio Girardi)
continuazione del Ciclo:
- Nord/Sud del mondo e il debito (Gerson Guymaraes)
- L'ambiente e la conferenza di Rio(Carlo Daghino)
- Proiezione video sugli incidenti razziali a Los Angeles
- Che Guevara (Gianluca Giachery e Sergio Dalmasso)
- Marxismo e nazionalità (Renato Monteleone)
- Ricordo di Ludovico Geymonat, filosofo della libertà(Fabio Minazzi)
Ciclo: "Marx oggi": - Il marxismo in Italia (Costanzo Preve)
- Il marxismo nel terzo mondo (Enrica Collotti Pischel)
- Marxismo oggi (Romano Madera)
Ciclo: "Storia della psicoanalisi"
- Freud (Alberto Camisassa)
- Jung (Giorgio Raimondi)
- Adler (Adriana Roassi Garzillo)
- Reich (Beppe Corona e Giorgina Lerda)
- Teorie freudiane e pratica terapeutica (Angelo Mondini)
- La micropsicoanalisi (Liliana Zonta)
Ciclo: "Analisi e terapie":
- Gestalt (Mario Frusi)
- Comportamentismo (Aldo Lamberto)
- Analisi sistematica (Massimo Schinco)
- Terapia del contatto (Luciano Jolly)
- Terapia del movimento (Elide Bono)
- Psicodramma (Giorgio Raimondi)
Fuori ciclo:
- La nuova sinistra: per un bilancio storico politico (Marco Revelli, Paolo Ferrero, Oscar Mazzoleni, Sergio Dalmasso)
Anno 1995-1996 - Leone Trotsjij, un fantasma nella storia (Gigi Viglino)
- Storia, geografa, economia davanti ai problemi globali del mondo (Manlio Dinucci)
- Psichiatria democratica (Agostino Pirella, Paolo Henry)
- Per ricordare Michele Risso (Agostino Pirella)
- Guevara e l'America latina (Antonio Moscato) - Il caso Sofri-Calabresi, Lotta Continua (Ennio Pattoglio, Sergio Dalmasso)
- Democrazia Proletaria, "Camminare eretti" (Giannino Marzola)
- Lelio Basso nel socialismo italiano (Sergio Dalmasso)
- Storia critica della repubblica (Enzo Santarelli)
- Riviste a sinistra (Marco Scavino)
- Salute mentale e superamento dei manicomi (Agostino Pirella)
Il Che, 30 anni dopo (Antonio Moscato)
La rivoluzione Sovietica (Roberto Preve)
La globalizzazione (Franco Turigliatto, Raffaello Renzacci)
Una scelta di vita (Eugenio Melandri)
Il Perù e l'America latina (Isaac Velasco)
Il lavoro minorile (Carlo Daghino
Il caso Sofri (Fabio Levi)
Il Chiapas oggi (Luigi Urettini, Chiara Vergano)
Ciclo: "Immagini dell'uomo":
- Rapporto terapeuta/paziente
- Rapporto genitori/figli
- Rapporto uomo/donna
Kurdistan (Laura Schrader, Hasti Fatah)
La rivoluzione non violenta dei Sem Terra (Nadia Demond, Michelangelo Ramero)
Ciclo: "Quanto vuoi?":
- Prostituzione e immigrazione (Fredo Olivero)
- Aspetti antropologici della prostituzione (Giancarlo Ferrero)
- Prostituta e cliente (Franco Barbero, Carla Corso)
Ocalan libero (Laura Schrader, Hasti Fatah)
Guerra e democrazia (Raniero La Valle)
Nodi storici e religiosi nei Balcani (mons. Diego Bona, Luigi Cortesi)
"Attraverso il filo", il caso Silvia Baraldini (Maurizio Buzzini)
Ciclo: "100 anni di psicoanalisi":
- Analista - cliente
- Le età
- Psicoanalisi e sessualità
- Marxismo ed ecologia, Ecofemminismo (Tiziano Bagarolo, Antonella Visintin)
- La globalizzazione in America latina (Marina Ponti)
- Il viaggio del Che in America latina (Antonio Moscato)
- Presentazione del libro: Siamo solo noi, Vasco Rossi (Diego Giachetti)
- Quale carcere? (Beppe Manfredi, don Elvio Davoli)
- Presentazione "Rivista del Manifesto" (Giancarlo Aresta)
- Presentazione rivista "Carta" (Marco Revelli)
Convegno 1968-1969, il biennio rosso (Luigi Urettini, Sergio Dalmasso, Diego Giachetti, Carla Pagliero, Franco Bagnis, Fabio Panero, Vittorio Bellavite, Carlo Carlevaris, Mario Cordero, Roberto Niccolai, Marco Scavino, Vittorio Rieser, Carlo Marletti)
Ciclo Datemi una barca (Scuola di pace di Boves):
- Giubileo e debito internazionale (Giulio Girardi)
- Il sistema globale (Manlio Dinucci)
- Teologia della liberazione e diritti umani (Josè Ramos Regidor)
- I movimenti rivoluzionari in America latina (Antonio Moscato)
- Sinistra alternativa, plurale, sociale? (Marco Prina, Gianna Tangolo, Alfredo Salsano, Fulvio Perini)
- I rossi nella Granda (Mario Borgna, Alberto Cipellini, Sergio Dalmasso)
- Convegno: "Gli anni '70" (Marco Scavino, Sergio Dalmasso, Vittorio Bellavite, Diego Giachetti,
Diego Novelli, Mario Renosio, Carla Pagliero, Gigi Malaroda, Pina Sardella, Nicoletta Giorda)
- Convegno: "Razzismo, antisemitismo, nuova destra" (Luigi Urettini, Moni Ovadia, Saverio Ferrari, Guido Caldiron,
Remo Schellino, Mario Renosio, Sergio Dalmasso)
Ciclo Gli esclusi (Scuola di pace di Boves)
- La conquista dell'America dalla parte dei vinti (Giulio Girardi)
- Fabrizio De Andrè, cantante degli umili (Romano Giuffrida)
- I nostri amici cantautori
- Presentazione del libro Rifondare è difficile di Sergio Dalmasso (Gastone Cottino)
- Convegno "Cosa resterà di questi anni '80?"
(Diego Berra, Sergio Dalmasso, Claudio Mondino, Marinella Morini, Fulvio Perini, Lucio Magri, Marco Revelli, Lidia Cirillo, Diego Giachetti, Carla Pagliero).
- La crisi argentina (Antonio Moscato)
Ciclo "Gli esclusi" (Scuola di pace di Boves)
- La canzone popolare (Fausto Amodei)
- Un altro comunismo: Leone Trotskij, Rosa Luxemburg (Antonio Moscato)
- La Palestina (esponente dell'OLP)
- Globalizzazione ed economia (Nerio Nesi)
- Sindacato e movimenti dopo Firenze (Mario Agostinelli)
Convegno "Vent'anni della Scuola di pace di Boves"
- La marcia delle donne (Nicoletta Pirotta)
- L'alternativa al liberismo e al terrorismo (Giulio Girardi)
- Vent'anni di storia, vent'anni di guerre (Luigi Cortesi)
- Ernesto Balducci, Gunther Anders e il pacifismo di oggi (Enzo Mazzi, Luigi Cortesi)
Convegno "1945/1948: gli anni della ricostruzione" (Sergio Dalmasso, Marinella Morini, Martino Pellegrino, Laurana Lajolo, Elena Cometti, Fabio Panero, Claudio Biancani, Michele Calandri, Paolo Perlo, Carla Pagliero, Sofia Giardino)
Ciao Raffaello, in ricordo di Raffaello Renzacci (Giorgio Cremaschi, Fulvio Perini, Franco Turigliatto, Rocco Papandrea, Sergio Dalmasso).
Liberalismo e liberismo (Sergio Dalmasso).
Comunismo, marxismi, democrazia (Sergio Dalmasso).
Riccardo Lombardi, per una società diversamente ricca (Nerio Nesi, Giancarlo Borselli, Sergio Dalmasso).
Rosa Luxemburg (Sergio Dalmasso).
Convegno Gli anni ’60 (Daniela Bernagozzi, Carla Pagliero, Diego Giachetti, Marinella Morini, Sofia Giardino, Chiara Rota, Giuliano Martignetti).
La stagione dei movimenti (Sergio Dalmasso).
1 «Le formazioni cosiddette “Autonome” – che al vertice hanno l’impronta monarchica – operano nelle Langhe. Le formazioni “Giustizia e Libertà”, le più forti, le meglio inquadrate militarmente, operano soprattutto nella valli. Le “Garibaldi” operano nelle valli e nelle Langhe. A sé il Gruppo Divisioni Autonome “Rinnovamento”, nato e cresciuto in Valle Pesio come formazione unitaria, non monarchica», Nuto Revelli, Il mondo dei vinti, Einaudi, Torino 1977
2 Lo stabilimento Michelin di Ronchi, alle porte di Cuneo, apre nel 1963.
3 Tutti i dati sono ricavati da C.I.P.E.C.- Centro di iniziativa politica e culturale – Quaderno n. 17, a cura di Sergio Dalmasso.
4 «La data di nascita ufficiale della Lega, che inizialmente si chiamava Lega Autonomista Lombarda, è il 12 aprile 1984», Umberto Bossi – Daniele Vimercati, Vento dal Nord – a mia Lega, la mia vita, Sperling & Kupfer Editori, Milano, 1992.
5 Intervista a Claudio Dutto, di Fabio Dalmasso, Torino 23/3/2006.
6 Giorgio Monastarolo, «Roma ladrona» in Chiara Ottaviano – Paolo Soddu, La politica sui muri 1946/1992, Consiglio Regionale del Piemonte . Neos Edizioni – Rosenberg & Sellier, Torino, 2000.
7 Intervista a Stefano Isaia, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 13/3/2006
8 Intervista a Claudio Dutto, di Fabio Dalmasso, Torino, 22/3/2006
9 Intervista a Claudio Dutto, di Fabio Dalmasso, Torino, 22/3/2006
10 Intervista a Stefano Isaia, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 13/3/2006
11 Intervista a Domenico Comino, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 15/11/2005
12 Intervista a Riccardo Vaschetti, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 23/3/2006
13 Intervista a Riccardo Vaschetti, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 23/3/2006
14 Intervista a Antonio Degiacomi, di Fabio Dalmasso, Alba (CN), 12/1/2006.
15 Intervista a Carlo Benigni, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 9/12/2005.
16 Intervista a Alberto Sciandra, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 10/12/2005.
17 Intervista a Aldo Rabbia, di Fabio Dalmasso, Mondovì (CN), 2/12/2005.
18 Intervista a Mino Allemandi, di Fabio Dalmasso, Bra (CN), 7/12/2005.
19 Paul Ginsborg, L’Italia del tempo presente – Famiglia, società civile, Stato 1980-1996, Einaudi, Torino, 1998.
20 Intervista a Mino Allemandi, di Fabio Dalmasso, Bra (CN), 7/12/2005.
21 Ilvo Diamanti, Il male del Nord, Donzelli Editore, Roma, 1996
22 Intervista a Claudio Dutto, di Fabio Dalmasso, Torino, 22/3/2006
23 Intervista a Riccardo Vaschetti, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 23/3/2006
24 Paul Ginsborg, L’Italia del tempo presente – Famiglia, società civile, Stato 1980-1996, Einaudi, Torino, 1998.
25 Intervista a Antoni Degiacomi, di Fabio Dalmasso, Alba (CN), 12/1/2006.
26 Intervista a Antoni Degiacomi, di Fabio Dalmasso, Alba (CN), 12/1/2006
27 Intervista a Carlo Benigni, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 9/12/2005.
28 Intervista a Alberto Sciandra, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 18/1/2006.
29 Intervista a Carlo Benigni, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 9/12/2005.
30 Intervista a Stefano Mina, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 18/1/2006.
31 Intervista a Alberto Sciandra, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 18/1/2006.
32 Intervista a Riccardo Vaschetti, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 23/3/2006
33 Intervista a Claudio Dutto, di Fabio Dalmasso, Torino, 22/3/2006.
34 Intervista a Domenico Comino, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 15/11/2005.
35 Intervista a Alberto Sciandra, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 18/1/2006.
36 Intervista a Carlo Benigni, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 9/12/2005.
37 Ugo Maria Tassinari, Fascisteria, Castelvecchi, Bologna, 2001.
38 Intervista a Stefano Isaia, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 13/3/2006
39 Intervista a Claudio Dutto, di Fabio Dalmasso, Torino, 22/3/2006
40 Riferimenti e immagini di manifesti sono tratti da Giorgio Monastarolo, «Roma ladrona» in Chiara Ottaviano – Paolo Soddu, La politica sui muri 1946/1992, Consiglio Regionale del Piemonte . Neos Edizioni – Rosenberg & Sellier, Torino, 2000.
41 Intervista a Domenico Comino, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 15/11/2005.
42 Intervista a Alberto Sciandra, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 18/1/2006.
43 Intervista a Domenico Comino, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 15/11/2005.
44 Intervista a Riccardo Vaschetti, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 23/3/2006
45 Intervista a Riccardo Vaschetti, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 23/3/2006
46 Intervista a Claudio Dutto, di Fabio Dalmasso, Torino, 22/3/2006.
47 Intervista a Alberto Sciandra, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 18/1/2006.
48 Intervista a Alberto Sciandra, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 18/1/2006.
49 Intervista A Lina Chialva, Antonio Fina e Franco Angeloni, di Vittorio Rieser e Fabio Dalmasso, Cuneo, 11/11/2005.
50 Intervista a Domenico Comino, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 15/11/2005.
51 Intervista A Lina Chialva, Antonio Fina e Franco Angeloni, di Vittorio Rieser e Fabio Dalmasso, Cuneo, 11/11/2005.
52 Intervista a Carlo Benigni, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 9/12/2005.
53 Ugo Maria Tassinari, Fascisteria, Castelvecchi, Bologna, 2001.
54 Alberto Trabucco, Il sistema politico a Cuneo – Dalla Democrazia Cristiana a Forza Italia, Tesi di laurea Università degli Studi di Torino, A. A. 2002/2003.
55 Intervista a Alberto Sciandra, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 18/1/2006.
56 Giuseppe Scaliati, Le trame nere – I movimenti di Destra in Italia dal dopoguerra a oggi; Frilli Editore, Genova, 2005.
57 Intervista a Alberto Sciandra, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 18/1/2006.
58 Ugo Maria Tassinari, Fascisteria, Castelvecchi, Bologna, 2001.
59 Intervista a Alberto Sciandra, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 18/1/2006.
60 Intervista a Claudio Dutto, di Fabio Dalmasso, Torino, 22/3/2006.
61 Intervista a Stefano Isaia, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 13/3/2006.
62 Intervista ad Alessandro Torrero, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 18/3/2006.
63 Intervista ad Alessandro Torrero, di Fabio Dalmasso, Cuneo, 18/3/2006.